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Il tempo? Immobile. La luce? Ferma. Il pensiero? Altrove. La dinamica di
questo bellissimo libro di Liliana Ugolini è nel pensiero. Il pensiero che crea
i suoi miti e li insegue in un ‘Pellegrinaggio ad Arte’, con fusioni e
scansioni che fanno del ritmo una melodia, un canto. Un libro cantato dunque,
anzi cantabile, scandito dai rintocchi delle parole in neretto, parole
visivamente accecanti, ribelli ad ogni tipo di adeguamento. Parole che
percuotono, vibrano, si inalberano e chiamano, sapienti imbonitrici, al teatro
di parola poetica, allo spazio denso di chiaroscuri che il corpo conquista e la
voce àncora con fili sottilissimi e tenaci alle colonne del senso illogico,
quello che fa della scrittura la libera espressione di un’emozione.
Le
invenzioni linguistiche si aprono a cupola, a campanile, a navate come ali che
catturano il lettore/spettatore: giocano con i cinque sensi liberati, planano
come foglie o si innalzano a spirale in un cielo che di Firenze ha l’umore,
meglio l’humus e gli intempestivi cambiamenti di tempo.
“Un tempo per ogni
luogo”
Questa la frase che riassume, a mio avviso, tutta l’opera. Il suo
esatto contrario: ...un luogo per ogni tempo..., si adatta meglio alla staticità
di un teatrino d’ombre.
Per Liliana Ugolini il passo svia, svicola, svincola,
si inerpica e deraglia, rimbalza su una superficie levigata di una città
concettuale, quel luogo della memoria che accoglie ogni stereotipo, ogni
possibile luogo comune. Le strade, le piazze, in “Pellegrinaggio con eco”
hanno un’anima nuova. Una veloce contrazione dell’essere che le rende
affabili e lontane, rivelate, assorbite nell’iter di una poesia che è clamore
e sussurro, grido e gesto. ...Amore come manto... e il dolore di esistere
diviene pietra tangibile, scalpello per una città dissacrata e livida che
mantiene la bellezza, a volte funerea, dei monumenti troppo guardati, logorati
dagli sguardi, dal tocco infinito delle mani che scrivono e rapiscono il
frammento che è poi il tutto.
Questa ‘Vita Nuova’, allora, è il grande
filtro alchemico che ci restituisce una Firenze liberata e pura, umanamente se
stessa. Una città invisibile, come quelle narrate da Italo Calvino, ma
continua, armonica, inserita nel mito come un bassorilievo infinito. Non
rivisitata, ma reinventata, con quel margine di ironia che trasforma il
rimpianto in una genesi.
Liliana Ugolini restituisce una città vecchia alla sua
modernità, la rende attuale, scalpitante, viva, dopo tanto esserci solo per
religione. Costruisce un futuro, un domani dove il passato non è che un attimo,
un soffio leggero e lunghissimo, un respiro alato verso l’infinito, il
possibile, l’arcano. Per una memoria futura.
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Recensione |
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