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“Ritorno a te sciabola
preferita per il mio karakiri | a mutare parole in grano da seminare | e i
giorni in campi d’arare | nella povertà dell’uomo senza dio” scrive l’autore al
termine di quest’intenso poemetto, lunga, appassionata, sofferta, drammatica
dichiarazione d’amore. Dichiarazione d’amore che si presta a diversi piani di
lettura, poiché il “rapporto fra l’io poetante e il tu poetato” come scrive
Franca Alaimo nella prefazione non è fisso, ma fluido, cambia in continuazione
come l’alternarsi di ombre cinesi su una parete bianca, sfugge ad ogni
preconcetta determinazione, pur ruotando attorno all’amore che ne è il movente
(e viene subito in mente Dante).
La donna, la poesia, Dio
appaiono di volta in volta il “tu poetato”, ma sono il caposaldo di un triangolo
che considera l’uomo nella sua disperante ricerca di verità, nell’insaziabile
fame d’amore e di vita, intriso di pessimismo costruttivo, o meglio di razionale
follia per usare un ossimoro che richiama da vicino il titolo di un libro di
Marcello Camilucci, per capire appunto l’aura mistica che pervade queste pagine.
“La vibrazione del sentimento, culminante in immagini di forte impatto erotico”
scrive ancora la Alaimo, “va…letta nel solco di quella letteratura mistica,
tanto orientale che occidentale (i sufi da una parte, San Juan de la Cruz o
Santa Teresa d’Avila dall’altra) in cui la tensione dello spirito verso Dio si
avvale di immagini attinte alla sfera sessuale; mentre la concezione del
poeta-veggente, più volte ribadita in questi versi, richiama alla memoria molte
esperienze poetiche del simbolismo francese o certi autori della linea
orfico-iniziatica italiana”.
Quando Dino scrive “Perché
m’hai dato un vestito di rara sensibilità | che mi fa vedere ombre di pietà |
voci che più non sono | fantasmi che penetrano | nell’imprudente intelligenza
dei giovani | e poi mi lasci morire | nel vedere città che allagano di dolore |
povertà che sonnecchia in cumuli d’ignoranza?”, si rivolge indubbiamente a Dio,
ma nello stesso tempo lo assume in un concetto più umano che comprende la Donna
intesa come il sé dell’altro da sé, e quindi è Poesia attiva, gioia e tormento,
passione e purificazione.
Le esperienze della vita
quotidiana, col richiamo al nostro tempo “dell’uomo senza dio”, e quelle
spirituali, intensamente vissute fino a raggiungere una specie di estasi
sensuale, il raccordo costante e proficuo con gli amici che hanno varcato il
confine, ma coi quali è ancora possibile mantenere intatti i legami di amicizia
nati e cresciuti in questo mondo (vengono citati alcuni versi di Giulio Palumbo
in cui “la sofferenza…ci fa figli della luce”), sono in tal modo interconnesse
da rendere impalpabile il limite che dovrebbe separarle.
L’invocazione, costantemente
ripetuta, “E ritorno a te”, racchiude in sé la forza della preghiera, l’empito
d’amore verso la persona amata, e l’inno di ringraziamento alla poesia, intesa
come forza salvifica da ogni male e da ogni tentazione. Poesia dunque come
preghiera, preghiera come mezzo di elevazione, assunzione del dolore come
strumento di estrema conoscenza.
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Recensione |
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