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Questo “Pianto di Ulisse” che segue libri che hanno
fatto dello Scarselli uno dei poeti più visionari e atipici nell’ultimo scorcio
del secolo appena trascorso (“Pavana per una madre defunta” (1990), “Torbidi
amorosi labirinti” (1991), “Priaposodomomachia”(1992), “Eretiche grida” (1993),
“Il Palazzo del Grande Tritacarne” (1998), tanto per citare), riprende il nucleo
ispirativo del libro di esordio “Isole e Vele” (1988), che è quello del viaggio
e della ricerca di un approdo ad una Itaca che si fa via via più struggente e
irraggiungibile (vedi anche un altro libro dello Scarselli, che sul tema del
viaggio e sul mito di Ulisse aveva scritto una sua “Fuga da Itaca”).
Qui Ulisse-Scarselli approda “per maligna deviazione
della bussola | o errore fatale di stelle”, all’oasi di Abu Assan che è “la fine
predestinata di ogni viaggio”. In quest’oasi il suo pensiero non guarito dal
ricordo, compie un viaggio a ritroso nel tempo e nei luoghi che lo hanno visto
in qualche modo felice o speranzoso della felicità. Ed ecco che a contrastare
l’idea del viaggio come solo modo per conoscere il mondo e viverlo (“È tempo di
lasciare la tua casa | alle serpi e insofferente di mura | abbandonare tutto al
suo destino”), il ricordo lancinante di una baita e di un intero inverno “che
lentamente si andava sfacendo | in una scia caliginosa di giorni”, si fa più
forte e ossessivo del ricordo di altre tappe, di altri luoghi, di altri momenti
del lungo viaggio che lo ha portato infine, non ad Itaca, al “mitico ritorno”,
ma all’oasi di Abu Assan dove “tutto splende e verdeggia | ma è solo apparenza
ingannevole”. Ed è qui che sorge il sospetto che la “fuga da Itaca” non sia
stata originata dall’inquietudine del viaggiatore che viene spinto malgré lui
sempre in avanti, lontano dalla sua Patria ma continuamente alla sua ricerca,
bensì da un abbandono, quell’abbandono che ha reso Ulisse solo e triste, e
quindi non più capace di abitare la sua isola.
Il “Pianto di Ulisse” è quindi il lamento per una vita
che c’è stata ed ora non c’è più, per un amore, per una donna che prima era con
lui e poi se ne è andata. “Ti vidi lentamente scendere | quel sentiero
cancellato dalla neve”. Ed è allora, “quando sei solo, veramente solo, | perché
anche la donna e il cane | t’abbandonarono e tu scivoli e scivoli | nel sogno
del tuo cane, della tua donna”, che l’idea del viaggio diventa sogno che lo
porta a solcare mari e ad approdare ad isole, ma con sempre fissa nella mente la
visione di una casa di pietra, di un paesaggio di terra, di un’àncora alla quale
sentirsi aggrappati per non naufragare, di una sua personale Itaca, alla quale
però non è previsto l’approdo. L’approdo è invece all’oasi di Abu Assan e non è
un caso : perché non è il ritorno alla vecchia vita, ma al regno della non vita,
dove tuttavia una debole fugace speranza persiste ancora “di sopravvivere,
scrivi un messaggio | di soccorso e avvertimento agli amici” e che “...la
lettera solo per un caso | inverosimile, e dopo tanti anni, | giungerebbe ad
increduli amici | ormai distratti dalle cure quotidiane”. Il cerchio non si
chiude, la scissione resta e lascia Ulisse solo.
Rispetto alle opere
precedenti, soprattutto al “Palazzo del Grande Tritacarne” uscito nello stesso
anno del “Pianto di Ulisse”, l’aggressività verbale di Scarselli sembra essersi
placata ed aver recuperato il gusto ad un sobrio lirismo, tuttavia l’impressione
è che questo libro sia troppo legato ad aventi biografici per sentirsene
definitivamente libero. E che il ricordo vero abbia preso la mano all’autore
portandolo un po’ fuori rotta rispetto a quel linguaggio nel quale egli riesce
maggiormente ad esprimere la forza della sua originalità poetica.
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Recensione |
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