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Il lungo filo dell’inconscio Del sogno e della poesia
Scopo di questo breve saggio è
portare alla luce le sottili affinità che legano la sfera del sogno a quella
dell’attività poetica, dando per acquisita l’esistenza di differenze non da
poco, la principale delle quali è che il sogno, a differenza della poesia,
sfugge alla volontà e alla responsabilità del soggetto. Tali affinità sono di
natura sia intuitiva che logica e si fanno primariamente cogliere nel binomio
segni/sogni che le disvela al livello grafico-fonico. Già il settecentista
Tommaso Ceva, vissuto in epoca arcadico-razionalista, sostenne che “la poesia è
un sogno fatto in presenza della ragione”. In questo ambito di ricerca
volutamente ristretto non potrà ovviamente essere presa in considerazione quella
letteratura che ha avuto per tema – esplicito o implicito – il sogno, essendo
peraltro arcinoto che la natura e i contenuti del sogno hanno fornito ampia
materia a poeti e scrittori di ogni tempo, specialmente durante il Romanticismo.
Come esempio forte per il Novecento citerei lo splendido racconto Le rovine
circolari dell’argentino Borges, il cui protagonista voleva sognare un uomo
con minuziosa precisione per imporlo alla realtà, ma alla fine dei suoi sforzi
deve rendersi conto che anch’egli è una parvenza sognata da un altro. Sempre per
restare al secolo testé scorso ricordo che il surrealismo, l’ultimo dei
movimenti di avanguardia, rappresenta il punto di maggior contatto, tra i due
elementi che qui ci interessano.
Innanzitutto mi preme rilevare
che poesia e sogno sono essenzialmente e fondamentalmente linguaggio. Un
linguaggio che parla per immagini: così fa il sogno (che le struttura in una
storia dalla marcata discontinuità e illogicità), così fa più o meno la poesia;
infatti il lavoro del sogno “è un’attività immaginativa, un lavoro d’
immaginazione, simile a quello che fanno pittori e scrittori” (Hillman). Questo
lavoro resta nel primo caso totalmente inconscio, mentre nel secondo caso è
sottoposto al controllo critico, ad una messa a punto pienamente consapevole di
ciò che si vuole realizzare. In definitiva penso che non sarebbe una forzatura
sostenere che poesia e sogno sono fatti della stessa sostanza. Sia una poesia
che un sogno rinviano, secondo la cultura corrente, ad una necessità
interpretativa, ad uno sguardo critico distaccato dall’oggetto del giudizio. Non
è dunque un caso che la psicoanalisi che si fonda sull’interpretazione dei sogni
(“la via regia all’inconscio” era il sogno per Freud) abbia generato la critica
psicoanalitica che studia le opere letterarie. Il metodo freudiano trattava il
materiale onirico (e successivamente letterario) con un approccio clinico di
tipo scientifico; per Hillman, analista di formazione junghiana, invece non si
deve interpretare il sogno fuoruscendo da esso, utilizzando cioè il punto di
vista diurno, ma si deve attribuire ad esso un autonomo valore conoscitivo;
similmente l’approccio al testo poetico e letterario in genere deve lasciare da
parte quei criteri di razionalità e verosimiglianza che valgono nella sfera
della comunicazione quotidiana. Poiché si è fatto il nome di Freud desidero
precisare che la sua nota teoria secondo la quale il sogno sarebbe l’appagamento
di un desiderio appare superata dalle più recenti acquisizioni della
neurofisiologia, soprattutto perché tale teoria scorge nel fenomeno onirico una
precisa funzionalità e non invece il libero gioco di un pensiero simbolico.
Il sogno è un
viaggio nella profondità della psiche e anche l’atto poetico partecipa, in
misura maggiore o minore, di questa avventura. Come l’io sognato non appartiene
all’io sognante, così l’io poetante non coincide con l’io empirico, cioè col
nome che compare sulla copertina del libro di versi. Certo, quando ci si
risveglia da un sogno, lamentiamo la rapidità con cui sono scomparse le immagini
e le situazioni che hanno occupato il nostro sonno, pienamente consapevoli che
di quel viaggio onirico niente o quasi resterà, salvo un’impressione momentanea;
viceversa il viaggio poetico nell’interiorità lascia dei segni che permettono di
ripercorrere l’emozione con cui lo si è vissuto. L’esperienza surrealista cui
accennavo sopra ha indubbiamente lasciato tracce del suo passaggio, tant’è che
qualcuno persegue ancora una scrittura automatica fondata sull’ associazione di
immagini oniriche segnate da un simbolismo tanto enigmatico quanto arbitrario,
ma a me pare certo che solo la sintesi dell’attività psichica conscia e di
quella inconscia costituisca l’essenza stessa di un lavoro mentale creativo
degno di questo nome.
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