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L’opera si articola in cinque sezioni fra loro complementari e
organicamente necessarie: Casa infanzia, Chicchi di storia, Che spreco d’ali,
Le vene azzurre e I luoghi dell’amore. “Mani sprigiono | a separare nuvole |
Voglio vedere | i luoghi dell’amore | Spicchi di poesia | ruscellano intorno |
ad accertare l’anima | e non do segno agli occhi | di paura | Ritrovo un
parlare | trattenuto | Sensi disarmo flessibili | ai voli | Riscatto ore cadute
| lontano da me”: è la poesia leggibile sulla soglia del libro, quindi
programmaticamente notevole per il progetto di autocoscienza qui formulato. Ma
tale progetto (e processo pure) ha bisogno di estraniamento, cioè che l’Io si
guardi dal di fuori, si faccia Altro. Direi che al lavoro della Palma si
attaglia quanto recentemente ha scritto (in “Poesia”, n. 127) Mariella
Bettarini: “O poesia è alterità, ricerca d’assoluto (…) o non è”.
Le
singole liriche, prive di titolo (il che le rende meno autonome) come di
punteggiatura interna (risultandone perciò accentuato il carattere polisemico,
ambiguo talora sino alla cripticità) si configurano come le membra di un corpo,
i rami di un albero, i mille affluenti di un fiume dal corso lento,
“trattenuto”. Anche perché tutto ciò che vive sulla terra e nel cielo è
chiamato in causa a fare da metamorfica controfigura dell’anima o da testimone
sensibile della sua vicenda.
I rami fatti cima sono un canto prolungato, tanto
sommesso quanto armonioso. La qualità melodica dell’ars poetica palmiana,
sempre palpabile, assume dimensione innologica nell’ultima sezione. Si
consideri, ad es., la seguente lirica: “Di te all’ombra | mi svelo | foresta
d’occhi | lama specchio | ogni anfratto varchi | e generi silenzio | a lutto i
morsi | della paura | salirti come fiamma | alta sul cero | e l’arte
apprendere | d’unirmi | in pace | incanto e compiutezza”.
“Dopo tanto
cancan edonista e pseudospiritualista, dopo tanto artificioso naturismo da
rotocalco, che gioia e che ossigeno tornare ai misteri umili e ai segreti
interiori, insomma alla grazia laica, e beatitudine ancestrale della buona
poesia!” Così Plinio Perilli nella sua puntuale, illuminante introduzione.
Effettivamente, a chiusura di libro, si resta con la convinzione di aver
incontrato della poesia buona. Incontri non troppo frequenti e proprio per
questo tanto più preziosi.
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Recensione |
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