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C.G. Jung intendeva per “anima” l’interiorità dell’uomo in
contrapposizione alla sua maschera esteriore definita latinamente “persona”.
L’interiorità umana appartiene al dominio dell’invisibile, del mistero,
della segretezza. Ora intitolare un libro di poesia L’Anima Segreta se di
primo acchito comunica un’impressione di ridondanza, significherà invece
alludere al nucleo più riposto ed inaccessibile di questa interiorità da cui,
come dal cuore del vulcano, si originano i materiali fantasmatici più segreti.
Per il solo fatto di esistere l’anima crea e le sue creazioni sono
espressione della sua vita. Il linguaggio poetico è l’unico in grado di
attingere immediatamente alle immagini dell’anima. Perciò “anima” è parola più
che tematica nella poesia di Raffaella Bettiol. Oltre che nelle varie liriche,
la ritroviamo in due, restando sottintesa nelle altre, delle quattro sezioni del
libro (“L’Anima segreta”, “Le pagine dell’anima”, “I luoghi”, “Il dolore”). Ma è
la sezione eponima (inaugurata, in una sorta di mise en abîme, da una
lirica nuovamente intitolata L’Anima segreta) ad attirare l’attenzione
del lettore poiché essa inscena l’anima a restituire una realtà esistenziale
filtrandola attraverso sogni ricordi presagi che la distanziano,
l’alleggeriscono senza annullarla o depotenziarla. Se, come scrive Plotino,
“neppure il dio ha trovato i confini dell’anima”, se ne inferisce che il suo
paesaggio è potenzialmente infinito. Tuttavia generalmente le sue affezioni si
riconducono a “eros” e “pathos”, amore e sofferenza. Ciò vale anche per
L’Anima segreta, dove peraltro è avvertibile il predominio del secondo
motivo sul primo sin dall’incipit (Guardo e la mia anima ascolta |
soltanto il pianto morente delle foglie), mentre l’amore è aspirazione
delusa o rimpianto incancellabile (Sono rimasta sola | innanzi alla lampada
della vita | senza potervi dire | l’amore che vi portavo). Sotto il peso
della realtà l’anima esperisce la solitudine come destino ineludibile, cui si
accompagna l’inquietudine. Tratto necessario della modernità, l’inquietudine
(che talora si fa tensione interrogante rivolta verso figure familiari come la
madre, il padre, il nonno) con la sua mobilità fa opportunamente da contrappeso
alle equilibrate strutture formali che la esprimono e ad un registro linguistico
tenuto costantemente su toni alti, i più consoni al discorso dell’anima.
È
questo, un libro sapientemente costruito (la seconda e la terza sezione
presentano i poeti e le città più amate; la quarta si apre a motivazioni
religiose), tanto che vi si potrebbe rinvenire la figura del climax.
Certo non è confondibile con le normali sillogi che non riescono ad individuare
un centro ispirativo a cui raccordare in qualche modo tutto. Nell’ultima lirica,
Preghiera, è introdotto Cristo orante sulla croce: Fu d’amore il mio
sogno, solo d’amore. E ancora: Piango… | la maschera che offusca le anime.
Ritornano i crucci segreti dell’anima messi in bocca a chi delle anime volle
essere il salvatore. Non si poteva concludere meglio un libro di grande bellezza
umana e poetica.
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Recensione |
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