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Aperta da un omaggio a
Zanzotto, del cui magistero formale si tiene il debito conto, Sequenza
friulana inscena il conflitto tra vitalismo naturalistico e cieca violenza
omicida, ovvero tra natura e storia. Tuttavia il discorso portato avanti
dall’autrice non resta sul piano astratto delle idee o dei principi, calandosi
invece in contesti precisi, circostanziati (il verde cupo dei boschi della
Carnia, la violenza della seconda guerra mondiale in una contesa terra di
confine). Credo che il contenuto di questo libro Battilana se lo sia portato
dentro per tanto tempo, finché il dibattito storico-politico ha riportato
nell’attualità temi come le foibe, gli oscuri risvolti della guerra civile e
partigiana, ecc. Aggiungerei anche che nel 2004 – anno della pubblicazione di
questo libro – ricorreva il cinquantennio della liberazione di Trieste
dall’occupazione delle truppe titine (e di questo si fa qualcosa più di un
cenno).
L’incipit, introducendo
a spazi aperti, verticalizzati (“Inerpicarsi, salire colline | monti catene
massicci | boscosi dalle acute squille”, p. 11), non solo evoca un paesaggio
montano, ma suggerisce anche lo sforzo dell’ascensione con quei due infiniti
assoluti che rendono impersonale l’azione. Poi il fuoco della
narrazione-descrizione si appicca su una “casa friulana” geograficamente ben
individuata (“tra il Talm e il Neval”), dove in una sera agostana “si parla e si
riparla di vivi e di morti” (p. 13). La voce narrante coglie con intuizione
profonda la vita palese e segreta delle piante (“Hanno loro sogni le piante, gli
alberi | dei boschi”, p. 19), il loro essere state fondamento materiale della
grandezza politica e militare di Venezia, come pure la loro sapienza (“Gli
alberi sanno. Per mie radici”, p. 25). Ma il centro ideale, sentimentale di
questo splendido poemetto narrativo (10 strofe/lasse di varia lunghezza, tramate
di versi liberi) si coglie nella rievocazione della tragedia delle foibe. Qui il
verseggiare fratto, spezzato dalla punteggiatura e dagli enjambements
(“Morire subito. | Non si può subito. Lancinante. | Aspettare. E gli altri.
Quanti. Dolore | insostenibile”, p. 25) rappresenta come meglio non si potrebbe
– tramite l’isolamento e l’ingrandimento di un particolare – il trauma e la
sofferenza dei malcapitati. È qui infatti che la comunicatività del linguaggio,
in genere impostato su un registro medio-alto (con punte storico-epiche),
subisce scarti e accelerazioni dalla forte valenza.
La rinuncia all’oblio della
tragedia italiana sull’altopiano del Carso e le montagne friulane nasce
ovviamente dal desiderio di giustizia. Ma poiché giustizia non è stata fatta, la
piaga non cicatrizzata sanguina ancora, come è dato leggere nei versi finali:
“Noi | attendiamo una pasqua, un riscatto: | per gente che non merita |
parlamenti di Hamelin” (p. 35).
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Recensione |
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