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Constatato che i versi si succedono con la morbida fluidità e l’esatta scansione di un meccanismo dagli ingranaggi ben oliati, viene spontaneo chiedersi quale sia il segreto di tanta perfezione. Una prima risposta la dà la quarta di copertina, dove è dato leggere che l’autrice ha al suo attivo ben dodici libri di poesia. La seconda e definitiva risposta viene da un’analisi puntuale di questo Solargento (felice univerbazione che crea un orizzonte d’attesa sfavorevole ad una poesia “solare”).

Il lessema “sole” appunto (insieme a “luce” configura un campo semantico d’indubbia rilevanza) è presenza costante in questo libro gaddano. Spesso circonfuso dalla nebbia fino a presentarsi come una sua offerta (“...e della nebbia parlo | quando offre il sole | come un’arancia | che galleggia sulle reste degli arbusti | già in progetti di fronde e di sementi”), il sole rimanda in prima istanza ad un determinato contesto padano, ma poi questo naturalismo si piega con docile spontaneità ad aperture metafisiche e metastoriche, sino a far emergere una singolare coincidenza tra apparenza e essenza ( “...è vero sempre che quello che pare | è.”: incisiva clausola di Quello che pare è, poesia di forte tensione concettuale). Non con l’esistenza, essendo fin troppo ovvio che ciò che appare esiste. Ha perfettamente colto quest’aspetto L. Nanni il quale, esprimendosi sull’autrice, ha parlato recentemente di “limpido scavo nell’oltre, ritorno alla profondità spirituale dentro una natura dove ogni essere si esprime nella sua totalità”.

Il linguaggio è alto, teso, prezioso e ricco di figure foniche (allitterazioni, rime - anche interne, al mezzo, equivoche - paronomasie, talché la melodicità prevarica lievemente sull’icasticità). Esso si dà nella più ampia varietà delle strutture formali onde assecondare ora lo scatto del sentimento, ora la pausa descrittiva, ora il ripiegamento del pensiero. In buona sostanza tutta l’esperienza simbolistico-ermetica è stata meno assimilata che interiorizzata al punto tale da presentarsi come saldo e personale possesso.

“Dei tre possibili comportamenti della lirica – sentire, osservare, trasfigurare – nella poesia moderna è quest’ultimo che domina, tanto nella visione del mondo che nella lingua”. Il giudizio di H. Friedrich è storicamente giustificato, ma non pienamente applicabile al libro in questione. Lucia Gaddo ha infatti l’acuta sensibilità del poeta, la capacità di osservare le forme della vita umana e naturale (unificate sulla base di una creaturalità tesa e sofferente, ma non doma e rassegnata) e l’attitudine a “trasfigurare”, cioè ad andare oltre tali forme. Tuttavia questi tre “comportamenti” li possiede e li utilizza nella stessa identica misura.

Recensione
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