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Se ci si vuole vestire di
niente o al massimo indossare un abito colore della pioggia (v. testo eponimo
all’inizio del libro) vuol dire che ci si offre nudi e indifesi al fuoco segreto
che ci divora e alle ossessioni che esaltano e deprimono con la nostra mente la
nostra esistenza. Osservo poi che la pioggia, figlia delle nuvole e del
temporale, riunisce i simboli del fuoco (lampo) e dell’acqua, rivestendo il
doppio significato di fertilizzazione spirituale e materiale.
Questo bel libro di Roberta
Degl’Innocenti è intriso di malinconia (etimologicamente “umor nero”); ora la
Stimmung malinconica (per Baudelaire sempre inseparabile dal sentimento del
bello) è strettamente correlata all’esperienza creativa. Perciò non è un caso se
in esso si parla spesso – e in maniera un po’ troppo irruenta – di “rabbia”
(“anima dannata a levigare spigoli | di rabbia”, p. 20; “voglia di rabbia e
d’infinito | sopra l’angoscia cieca della sera”, p. 26), anche se questo è solo
uno dei topoi su cui si polarizza il discorso poetico dell’autrice; l’altro è la
tenerezza, l’urgenza affettiva. Ma un po’ tutto Un vestito di niente si
organizza intorno a coppie oppositive di questo tipo (preghiera e bestemmia,
riso e pianto, ecc.) a conferma della scissione profonda che lo pervade. È
inoltre certo che all’origine del gesto poetico dell’autrice sta un moto
violento di insofferenza per la realtà data con la conseguente e necessaria
apertura di uno spazio esistenziale popolato di sogni e favole – streghe,
boschi, elfi sono presenze ricorrenti – che sappiano placare le intermittenze
del cuore. Anche quando si parte da un episodio contingente o un’esperienza
vissuta (come succede in almeno tre poesie della sezione Vertigine) ecco che
scatta un procedimento di alleggerimento, sicché quell’episodio e
quell’esperienza risultano alla fine intessuti della stessa materia impalpabile
dei sogni. Nel complesso risulta alto l’interesse erotico per un mondo onirico
che si contrapponga a quello reale.
Poesia malinconica (“umorale”)
quindi, e pure lunare, notturna; espressione di un animo non rassegnato, anzi
indomito e combattivo. La luna trionfa sul sole, la notte sul giorno e la rosa,
il più sensuale dei fiori, su tutti gli altri (“palpitando stupori d’innocenza |
apro le labbra in lussuria di rosa”, p. 23). L’io lirico, abbandonata ogni forma
di razionale controllo, è animato da un formidabile desiderio di dissolvenza di
sé nelle sensazioni più immediate (visive, olfattive, tattili) e le immagini,
dalla valenza analogica e tendenti all’accumulo, rampollano nella più assoluta
arbitrarietà ma anche nella loro assoluta, cruda e lancinante bellezza.
Questa è anche poesia
femminile nel senso meno deteriore del termine, visto che la persona dell’io non
solo assume orgogliosa coscienza del proprio genere, ma istituisce anche un
circolo virtuoso tra donna, poesia e amore (“Donne in amore, donne in poesia”,
p. 47), dando per certa l’equivalenza o meglio la convertibilità dei tre
termini; è vero tuttavia che il testo da cui ho tratto la precedente citazione è
anche un omaggio all’amicizia femminile. L’esaltazione della femminilità era
d’altronde presente nel libro di narrativa Donne in fuga (2003), le cui
protagoniste trovano qui una commossa rievocazione. Certo, talvolta la parola
poetica di Roberta Degl’Innocenti appare innamorata di sé fino all’estremo della
compiacenza narcisistica (“...vivo di parole | inseguite, bagnate sulle labbra,
cullate | dentro il grembo, accarezzate piano”). Ma è parola aurrorale, nuda e
indifesa perché chi la pronuncia ha detto in anticipo che vuole un “vestito di
niente”, un vestito colore della pioggia.
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Recensione |
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