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Da una scrittura curata,
elegante, quasi aristocratica, nascono i racconti di questa breve raccolta,
quattro preludi, come li definisce lo stesso Alberto Raimondi, mutuando il
termine dal lessico musicale. Non è un caso. Essi sono, infatti, seguiti da
sette brevi spaccati di vita, alcuni uniti, altri slegati nei contenuti, che
l’autore chiama bagattelle.
La passione per la musica è
confermata più volte dalla sua stessa mano, una mano sicura, che sa descrivere
con gran perizia di dettagli lente riflessioni, ritorni al passato, ricordi
sparsi, ma anche vicende familiari, a lui giunte attraverso la tradizione orale.
Si tratta talvolta di dolci souvenir, come quello legato alle zie, ricordi che
assumono tratti quasi rituali come, per esempio, la descrizione della sua stessa
nascita: “Segue il bagno rilassante, la vestizione e la deposizione del neonato
sul cuscino, accanto alla madre che lo accoglie nella tiepida nicchia
dell’incavo ascellare e lo avvolge con il braccio in un gesto protettivo”; ma vi
sono anche testi che forniscono spunti per riflettere sulla vita e la morte (Il
poeta) o sulla stessa arte della scrittura (Materiali).
I preludi sono, infatti
“un’improvvisazione”, “spunti lirici svincolati da una trama obbligata”, “brani
autonomi in funzione di un’espressività sommessa”, molto piacevoli alla lettura
per il bel linguaggio alto e curato in cui sono composti, per il dettaglio –
indispensabile assaporarli lentamente –, per il valore umano. Lo stesso valore
umano ripreso nelle bagattelle: brevi assaggi di vita, spezzoni di emozioni,
espressioni di sentimenti. È questo, per esempio, il mondo del pianeta H,
l’universo spesso sottovalutato, per chi non lo conosce, dei portatori di
handicap. L’autore, invece, lo conosce molto bene. Egli è medico e come tale
riesce a descrivere la vita, la morte, la gioia e il dolore con una perizia che
sembra distacco. Non lo è, e alla lettura lo si sente. È un uomo quello che esce
da queste pagine.
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Recensione |
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