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Il profumo del paklavà colmo di noci e miele, dello yogurt fatto in casa e del pane ricoperto di sesamo e di croccante papavero. Il profumo del mistero di una lingua dimenticata e di memorie oscure che si perdono negli angoli più reconditi della mente. L'odore acre del sangue che sgorga come un fiume impetuoso dalle gole tagliate degli armeni durante il genocidio del maggio del 1915. Da tutto questo si viene letteralmente investiti leggendo il romanzo di Antonia Arslan, La masseria delle Allodole. L'autrice attinge alle memorie familiari per raccontare la dimenticata tragedia del popolo armeno, lo sterminio di migliaia di donne, uomini e bambini. E lo fa con un realismo impregnato di una sognante sensibilità, ricolmo di rispetto per la propria storia e per la memoria dei propri antenati. Quasi incantata è la descrizione della famiglia di Sempad (il fratello del nonno Yerwant che molto giovane si era trasferito a Venezia ed era così riuscito a sfuggire al genocidio), così numerosa e così colorata e chiassosa: i giochi dei bambini, le fantasie amorose delle giovani ragazze, i discorsi degli uomini ed il potere delle mogli. Tradizioni e colori si mescolano nelle pagine che scorrono fluide, trasportandoci in un mondo "altro", un mondo perduto o forse per noi lettori mai esistito. Poi improvvisa si abbatte la tragedia, le parole si susseguono velocemente l'una dopo l'altra, in una corsa sempre più ripida e spaventosa. I preparativi per la Pasqua, per l'attesa visita di Yerwant e per l'inaugurazione della Masseria vengono, nel giro di qualche pagina, imbrattati del sangue rosso scuro di corpi mutilati, straziati e gettati l'uno sopra l'altro come immondizia. Le scene di orrore vengono descritte dalla Arslan con tocchi rapidi e precisi, ma privi di macabro gusto e non abbandonati alla loro inevitabile crudezza: c'è in ogni parola un forte senso di dignità, l'intento dell'autrice di non perdere il senso del decoro nemmeno nei momenti di maggior sconvolgimento, momenti nei quali il mondo appare capovolto e Dio sembra essersi velato gli occhi.

È dopo la strage della Masseria che comincia per le donne un'odissea segnata da marce forzate, dolore e morte, fame, umiliazioni e crudeltà. Una lotta per la sopravvivenza segnata dal coraggio e dall'antica nobiltà della moglie di Sempad, Shushanig. Donne senza una patria, incoscienti della trappola mortale che il governo turco ha preparato per loro, incoscienti che il loro viaggio sarà solo una andare verso il nulla. Madri, figlie, sorelle che si aggrappano a qualunque piccola speranza pur di sopravvivere, e che grazie alla loro tenacia e all'aiuto di chi non vuol farsi complice della violenza riusciranno a trovare una via di fuga: si salveranno tre bambine e un "maschietto-vestito-da-donna", che dopo incredibili avventure giungeranno in Italia, dal nonno Yerwant. I sopravvissuti al genocidio, gente senza patria e senza lingua che porta dentro di sé il peso della vita, l'imperscrutabile destino che ha barattato la loro vita con la morte di altre persone. Sopravvissuti come la zia di Antonia Arslan, Henriette, portatrice di caldi misteri e di un mondo oscuro, dolce ed arcano. Quel mondo che avvolge e affascina l'autrice fin dalla tenera età. Quel mondo che il nonno aveva chiuso a chiave, insieme ai suoi ricordi, in un piccolo angolo della mente; radici lontane e dolorose verso le quali non scenderà più fino al momento in cui le racconterà a quella bambina come fiabe inaccessibili, forse sognate.

La masseria delle Allodole è un romanzo che rapisce l'attenzione del lettore fin dalle prime pagine, dove l'autrice descrive con amorevole trasporto il suo primo incontro con le sue radici armene, quel mondo sconosciuto ma così affascinante che racchiude la chiave del proprio destino e della propria memoria. Poi, attraverso un salto nel passato, troviamo Sempad e la sua famiglia, Shushanig, i preparativi per la festa, il massacro e la deportazione, la morte, il dolore e la speranza… per qualcuno la salvezza. Alla fine di questo lungo viaggio le parole dell'autrice sono riuscite a penetrare nel nostro animo ed hanno impresso immagini ed emozioni indelebili, comunicando con dolcezza straziante e crudo realismo ciò che nessuno prima di lei aveva fatto: la dimenticata tragedia del popolo armeno. E nel nostro cuore sembrano risuonare le parole del poeta Varujan: "Dimentichiamo il mondo: - sull'acqua, la strada… scintillante della luna sia la nostra Strada…".

Recensione
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