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Una visitazione insolita, almeno nei termini editoriali, quella di un luogo dell’eterno riposo, relegato oggi ai margini della vita comune, un tempo meta del pensiero che fissa nel tempo il ricordo delle persone care. Sì, Luccia con la sua macchina fotografica ha cercato e fissato, attraverso il cimitero monumentale di Padova, tagli insoliti, di quelle figure scultoree che era in uso porre nelle tombe più ricche almeno fino agli anni Quaranta. Poi più nulla, o quasi, semplici lapidi, veloci loculi, per dimenticare?

Figure spesso sensuali, meste, sorridenti, in lacrime, attente nel vuoto di fronte, dimenticate, legate da ragnatele, scrostate, colorate dallo smog del tempo: un palcoscenico vivo e vitale che si sforza di perpetuare il ricordo ai vivi che spesso, invece, vogliono dimenticare in un perverso usa-e- getta.

E ogni tanto, perché Luccia è anche poetessa, pochi versi, distici "Ogni vuoto ha il suo recinto | Fu giardino, pozzo o labirinto". Una fotografia che è anch’essa poesia, delicata, quasi colta in punta di piedi, per rispetto e per non turbare il tempo immobile che passa. Un bianco e nero morbido con un’immensa scala di grigi come ormai non siamo più abituati a percepire, calibrato a mano, cercato per dare storia alla storia nella quotidianità del vivere. È raro trovare un poeta, ancor più raro un poeta- fotografo. Luccia li è entrambi. E testimonia una tradizione familiare che ha radici fin dall’Ottocento.

Questo volume esce dopo una mostra che ha riscosso molto successo, per certi versi inquietante, ma anche ristoratrice e vivificante. Sta a noi superare i limiti di questa cultura che avanza dominata dagli oggetti. E l’uomo?

Nota di lettura
a cura di Luciano Nanni
in Punto di Vista nr. 37/2003
Fotografia-Poesia. Il tema – monumenti e sculture cimiteriali – trova la perfezione iconografica nel formato del volume e nel bianco/nero grigio che ricorda la sepolcralizzazione degli oggetti (D. Cara): morte-ipotesi nei simboli esteriori dotati d’un loro funebre fascino, immagini femminili forse di un eros che non discrimina la diversità tra essere e non-essere (p. 77), la lebbra del tempo (p. 55), il particolare (p. 51) e l’ambigua gestualità (p. 83), segni transitori di una presunta eternità: questi alcuni aspetti che la consumata perizia nell’arte fotografica della Danesin fissa e suggella con il significativo distico di p. 87.
Recensione
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