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Così è se vi pare
L’eterna
cenerentola
La nomea, così la fama, in campo letterario, contribuiscono certo a suscitare
interesse ed emulazione in chi ha predisposizioni elettive di scrittura, di
composizione. I talenti, si sa, attraggono sempre, essi rappresentano dei punti
di riferimento e di paragone, nonché di studio. Perché si possano acquisire
peculiarità specifiche personali per emergere coram populo, non c’è altra via di
un raffronto con le opere inserite nei diagrammi delle graduatorie storiche
della letteratura italiana e non. Così si osanna o si critica questo o
quell’autore, si valutano le collane della narrativa, della saggistica, della
poesia, ecc., si constata se la pubblicistica editoriale è suffragata, per
contro, dalle letture, dalla vendita di tot copie; il che, viste le statistiche,
non è che in Italia si brilli di consumismo culturale, specialmente se ci si
rivolge ai testi poetici.
Infatti, nelle librerie, il prodotto della poetica ha riserve e scomparti di
emarginazione, sugli scaffali le opere dei maggiori antichi e moderni ristagnano
invendute, a volte del tutto lasciate nel dimenticatoio. Che valori
incoraggianti assuma oggi la poesia, lo stabiliscono solo chiari e rari consensi
e più contumelie e denigrazioni, dato che questo è un genere ritenuto dai più di
scarso apprezzamento.
La verità è che nemmeno chi compone con estremo impegno di suadente efficacia
interiore e possiede particolari virtù di espressione si merita i dovuti
riconoscimenti, vuoi forse perché l’arte poetica ha rituali ed idiomi che
comportano una lenta e non una immediata assimilazione spirituale, esoterica,
vuoi forse perché essa ha già le sue incomprensioni ereditarie da epoche
lontane.
Per quanto enunciato, è una considerazione inspiegabile quella per cui uno
considerato, bene o male, devoto servitore delle muse, deve subire ristrettezze
e umiliazioni se il suo verseggiare è costretto in spazi esigui per venire
considerato o dispone, a suo danno, solo di ricezioni di rifiuto o giudizi
categorici avvilenti, sì da preludere a reggenze future senza rivalse o difese.
Emergono, inoltre, evidenze di chiusura, di lettera morta non appena in società
si accenna per caso ad argomentazioni poetiche o a tematiche attinenti, in
genere, alle lettere, chiaro che si rimane delusi e senza parola e con il
discorso in sospeso.
La poesia, allora, per vero, è una componente considerata fuori dalla portata
comune o è una disciplina del tutto snobbata a priori, che ha in sé i vuoti,
delle perdite di spazio, di tempo o di conquiste solo eteree. Si evince, in
questi termini, che i poeti si trovano troppo soli nel gran mare
dell’indifferenza popolare, si evince che essi vivono morte esperienze, sanno
che spesso comunicano con se stessi, che il loro mondo riserva una passione
assopita, senza ritorno.
La poesia, rebus sic stantibus, più che eterna Cenerentola non è, in quanto
essa sussiste in quegli esseri che vagano coi pensieri negli spazi dell’etere e
che non compartecipano, quindi, alla realtà del quotidiano. L’assunto esposto
arrischierà di sicuro a delle contestazioni, ma le speranze per il cosiddetto
poiein sono veramente ridotte, per cui il poeta è proprio un elemento frivolo,
situato nel baccanale di un vivere sempre più cinico e carente di sensibilità
spirituale.
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