Reperti del mito
1
Pizzi variegati sfoggiano le nubi.
Filtrano appena i rami
un rosa carnato.
I parasoli dei piccoli terrazzi
sono ancora bagnati
dalle gocce della pioggia.
I cortili in un intrico di ruderi,
di rottami. Dinanzi, le facciate
delle case sembrano quinte
contro l’orizzonte che a poco
a poco si spegne.
2
In giro odore di muffe,
di marcescenze, di fonde cantine.
Forse domani sui bricchi
lacrimeranno le pupille del cielo.
Il tramonto spinge le lucciole
verso gli orti addormentati.
Gli archi del fienile
con il pallido alone della luna.
3
Este, nei tuoi broli i semi
della notte illune,
il vento sui ripiani degli uliveti.
Hai offerto calici amari
e flussi di inquietudini
quando mi appartenevi,
così che ho covato veleni
e propositi di rivalsa
per vincere un nume avverso.
Ora icona rimani e tempo sepolto
e periodici suffragi sull’ara
dei giorni esuli.
4
Sui volti dei contadini
la scarna linea di un cesello antico.
Lungo gli squarci dei poderi
le simmetrie dei frutteti, dei vigneti.
Gli eterni miti nella gente
di campagna rivelano l’ordine
delle rustiche leggi.
Nella saggia filosofia georgica
i cavi corni dell’abbondanza.
5
Rigogliosi pampini, intrecci,
archi bacchici di gloria.
La pioggia a ventate
sulla terra dei campi.
L’orizzonte rotola giù di nubi,
di schianti, di boati.
Lungo il tratturo mi ripara
una capanna di canne.
6
I presepi di guerra che non ho
mai potuto allestire al paese
e lo squallido focolare di casa,
le corone della povertà riassunte
in angoscia all’abete immaginario
dell’anno che sta per finire,
e queste presenze mute
degli arredi, e le coltri
con le bianche simmetrie
delle margherite perché palese
un’analisi sull’effimero
che impera, che impererà.
7
Un fluido narcotico
tanto il desiderio del sonno.
Sembra che un nume diffonda
intorno la sua presenza.
Ecco la desertità delle campagne
coperte dai vapori.
La spossata natura,
le immobilità primordiali.
Ronzano gli insetti tra gli aspri
zolfi delle vigne.
8
Fantastiche madrepore si accendono
nella notte. Sprofondano rottami
nei baratri caliginosi.
Gli scrosci battono l’asfalto
dissestato. Eremita delle veglie
disamino calvari, le piaghe vive
che chiedono lavacri.
9
A nembi corolle dei meli.
Pendule liane dei salici
dove sarà quiete estate.
I pennacchi dei canneti
dondolano al cloro dei maceri.
Nel giardino le bacche dei cipressi,
i calici dei tulipani ora
che il sole punta l’occhio
magico dalle finestre celesti.
10
Vago lucore aurorale sugli Euganei.
Porpora del sole a drappi
sale alle pareti celesti.
Divinità della natura
come musa ispiratrice,
come fenomeno rivelatore
di celebrati miti.
La fedele allodola è già
nella lirica degli spazi.
Il sorriso dei campi
dischiusa corolla di vapori.
A fuoco, tratti essenziali dei colli
che illustra la pupilla
iridescente di un demiurgo.
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