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Sono versi limpidamente
eleganti, quelli con cui Raffaella Bettiol – saggista e poetessa veneziana, ora
residente a Padova – struttura le sue Ipotesi d’amore: una quarantina di
liriche brevi, snelle, a tratti nervose, distribuite all’interno di sette scarni
ed essenziali segmenti tematici: “Familiari”, “Intimità”, “Colloqui”, “Eterno
Femminino”, “Umanità Sofferta”, “Luoghi”, “Ancora”.
Una poesia permeata da
tensioni memoriali tenere e struggenti, che si protende – tramite un uso molto
parco degli effetti fonosimbolici, bilanciato però da un frequente ricorso alle
inversioni sintattiche, alle giustapposizioni, alle frasi nominali – verso una
ricostruzione amorevole e diligente di persone, luoghi ed eventi del passato che
l’incertezza del presente contribuisce a rendere ancor più solenni,
depositandovi i semi di un significato antico e “originario”, talvolta quasi
oracolare.
Si veda, ad esempio, la prima
sezione, dedicata alle figure dei genitori, in cui è forse più flagrante il suo
tentativo di ricostruire, attraverso un’alchimia verbale di cui pure avverte la
precarietà, le radici stesse del proprio esserci; oppure la seconda, in cui i
richiami ai sodalizi intellettuali e alla comunione affettiva con amiche ed
amici poeti sostanziano, in piccolo, una breve autobiografia al contempo intima
e letteraria; o, ancora, il segmento dedicato ai complicati “colloqui” con il
partner, in cui si sormontano come onde marine (non a caso, l’elemento acquatico
è uno dei Leitmotiv dell’intera raccolta) i temi della presenza e dell’assenza,
della parola e del silenzio, dell’amore e dell’inquietudine, dell’affabulazione
fiabesca e della verità evangelica, a dimostrazione di come il fine precipuo
della poesia debba consistere nel dare voce alle antitesi da cui siamo abitati,
cercando di avvicinare quanto più possibile i lembi delle ferite che ci lacerano
e che, con il silenzioso passare del tempo, si approfondiscono nel nostro animo.
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Recensione |
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