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Trentun Dicembre! Una notte di tregenda, una vera notte da lupi. Vento, neve e pioggia stanno sferzando da ogni parte, in quell’estrema periferia della città, il villino in cui è riunito un affiatatissimo gruppo di amici. Un anno, un secolo, un millennio stanno per essere gettati alle spalle in allegria e spensieratezza tra risa, scherzi e canti. Nessuno per fortuna si sogna di rovinare la festa rompendo le scatole con assurdi ed inverosimili oroscopi o con opprimenti elucubrazioni futurologiche, nessuno si sogna di disquisire sui massimi sistemi, nessuno si mette a sproloquiare su profonde cretinate di filosofia o roba del genere. Cioè, a dir la verità, una che ci tenta c’è. È nella compagnia da poco, ha l’aria di essere una del tipo “so tutto io”. In altre circostanze si troverebbe sepolta, con tutte le linguacce che circolano da quelle parti, da una valanga di battute feroci, ma davanti ad una ragazza in fin dei conti carina, ben fatta e soprattutto sorridente si passa volentieri sopra a molte cose. Anche perché farsi tenere la mano nelle sue e magari accentuarne sornionamente la stretta mentre, convintissima, ce la sta mettendo tutta a titillartela per dritto e per storto con la granitica pretesa di riuscire a tirarti fuori da pieghe, rughe, grinze ed estroflessioni della pelle vita morte miracoli passati presenti e futuri, è una sensazione estremamente gradevole e vale la pena di approfittarne. Piace sempre di più nonostante l’atteggiamento da intellettuale forse un po’ troppo caricato e molti sono quelli, anche se i più scettici fanno una fatica del diavolo a non rotolarsi per terra dalle risate, che le si affollano intorno e si danno da fare per entrare nelle sue simpatie. Quando pronostica che non può esserci futuro senza libertà, senza quella facoltà di decidere in piena autonomia di cui ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di disporre senza interferenze, influenze o pressioni altrui tutti si sentono, o fanno vedere di sentirsi, coinvolti. Ne vengono fuori un’ira di Dio di frasi fatte, di teorie scontate, di tutti quegli assiomi e quelle certezze che da migliaia d’anni – forse addirittura dall’origine stessa dell’umanità – ogni profeta, santone, filosofo o analfabeta con un po’ di vestiti sgargianti intorno si vanta di aver saputo elucubrare, ogni volta con l’incrollabile convinzione di aver elargito all’umanità il bandolo della matassa, la Rivelazione, la Verità Assoluta. Ma basta che dalla cucina arrivi il tanto atteso “A tavola!” perché si lascino di colpo da parte disquisizioni, sofismi e sottigliezze e ci si dedichi a tutt’altri decisamente molto meno cervellotici approfondimenti. Lui, che proprio questo momento aspetta, riesce ad avere la meglio sull’agguerrita schiera dei concorrenti che fanno a gara per sederlesi a fianco e, da furbo quale sa di essere, stando ben attento che nessuno intervenga e reprimendo senza tante cerimonie i reiterati tentativi di intrusione, fa di tutto per darle l’impressione di essere visceralmente interessato alle sue parole. Lei, naturalmente, ci casca. Quando poi lo sente affermare con forza che nulla è più sacro della libertà, della sua libertà, e che nulla e nessuno riuscirà mai a limitargli un bene così prezioso, un diritto così sacrosanto, così inalienabile, così... così, va letteralmente in brodo di giuggiole. Era stato il massimo, proprio le parole perfette per far straripare l’entusiasmo e l’ammirazione più incondizionati, e ora lei se lo sta letteralmente mangiando con quei bellissimi, enormi occhi in cui venerazione, desiderio e promesse crescono di minuto in minuto. Ma è ben altro quello che sta passando a lui per la testa. Più trascorrono le ore più sembra assente, la mente persa dietro chissà quali pensieri. Si accorge anche lei che qualcosa sta cambiando, un che di indefinibile, un senso di insoddisfazione, un’irrequietezza come se qualcosa di necessario, di indispensabile, di vitale stesse cominciando a mancargli. La fatidica mezzanotte si sta avvicinando a grandi passi, mentre fuori il vento rinforza le sue urla ogni istante di più. I capelli, le forme, il profumo della ragazza lo avvolgono come in un sogno ma non è la passione che lo attanaglia, non è desiderio di lei la strana sensazione, non l’ansia per la prossimità di quell’istante che lo separerà per sempre dal passato. Per indurlo ad alzarsi dalla stretta poltrona nella quale sono sprofondati e
trascinarlo fuori dalla portata di occhi indiscreti lei gli prende la mano, se
la porta al seno, vi poggia sopra a lungo le labbra lucenti. Un meraviglioso
momento, ma non sarà per lui. Lui non vi si può abbandonare, lui non può
lasciarvisi andare. L’inquietudine, il senso di vuoto, l’insoddisfazione sono
ormai suoi padroni, sono più forti di tutto, lo hanno sopraffatto. Non può, non
può, non può, forse nemmeno si rende conto di cosa veramente lo rode dentro, sa
solo che qualcosa gli manca. Si alza, ma non per andare con lei verso il paradiso. Quasi come un automa si veste, come un automa esce, abbandona senza una parola il confortevole tepore, la sconcertata compagnia, l’adorante compagna che invano tenta con tutta se stessa di trattenerlo, che invano sconsolata e delusa continua a supplicarlo di restare. Ma lui è libero! Nessuno può fargli fare nulla, né dirgli dove andare, né perché, né con chi, nessuno gli può togliere questo potere, questa meravigliosa sensazione di onnipotenza e di libertà. Ed è solo varcando quella soglia che riuscirà a dare un senso al suo futuro. La notte è buia, gelida, solo qualche vacillante lampione riesce a far strisciare i suoi raggi dove può. Il vento gli schiaffeggia contro folate di acqua e neve, gli si infila sotto i vestiti, gli perfora le ossa. Ma lui va avanti, passo dopo passo, solo i suoi occhi persi nel vuoto riescono forse a scorgere il lontano traguardo. Non può fermarsi, guai se cede alla tentazione di farlo, guai se cede alla tentazione di tornare indietro! Non ci sarebbe più domani per lui, quel domani di cui i rari fuochi d’artificio che riescono a fendere la notte gli stanno annunciano proprio ora l’inizio. Caccia il ricordo della ragazza. È libero, lui! E non vuole dipendere da nessuno, non vuole, gli dà fastidio anche solo il pensiero che qualcuno, qualche cosa, qualsiasi cosa possa mai condizionare le sue abitudini, il suo modo di essere, il suo io, ora e sempre. Comincia a sentire freddo, tanto freddo, il vento e la pioggia non attenuano
un solo istante le loro laceranti sferzate. Ma l’insoddisfazione che lo tormenta
è ormai angosciante e gli fa dimenticare il gelo della notte, lo incalza ad
avanzare, ad arrancare, a trascinarsi sempre più avanti. E finalmente la luce,
la luce tanto attesa. Remota, fioca, quasi indovinata all’inizio, poi sempre più
vicina ed eccola finalmente, sicura, certa, ospitale! Vi si immerge frenetico,
sa che solo lì... Attraversa spaventato e furtivo un mare di facce mostruose, ghigni sdentati che lo osservano con cupidigia, che non staccano lo sguardo avido dai suoi abiti, dalle sue pur fradice scarpe, da lui... E gli si avvicinano, lo spingono, gli si stringono intorno bramosi, occhiate allucinate ed opache gli propongono paradisi impossibili, corpi lividi ed emaciati gli si offrono per qualche manciata di spiccioli. Voglia folle di andarsene, di fuggire, di lasciar perdere! Ma proprio adesso? Proprio adesso che ormai... Stringe spasmodicamente il pugno. Il suo tesoro, tutto ciò che possiede! E sa benissimo che basta un nulla perché tutta quella folla nauseabonda e maleodorante gli si scagli addosso e per lui sarebbe la fine, la fine di tutti i suoi progetti, la fine della sua libertà, la fine di ogni sogno per il futuro. Ma riesce non sa come a fenderla indenne, a tenerla lontana, a respingere sempre più disgustato quella bestiale torma di tutti i colori che gli si accalca contro. Ma perché questa gentaglia è libera? Perché la lasciano libera, a limitargli
la sua libertà? Tutti in galera, tutti ai lavori forzati dovrebbero mandarli,
tutti a casa loro rispedirli! Gli occhi gli bruciano, a fatica riesce a
schiudere la mano nella quale sono riposte, pezzo di carta arrotolato e
sgualcito, tutte le sue speranze, la sua esistenza, la sua vita. Lo guarda, lo
srotola con cautela, lo liscia con amore senza cessare un solo attimo di
guardarsi intorno terrorizzato. Se lo trova dinanzi all’improvviso, freddo, inerte, immobile. Sta attendendo proprio lui, è lì per lui, per succhiargli via ciò che ha di più prezioso. Ma sa che è qui la fine, sa che è questo il mostro cui deve abbandonarsi, cui deve offrire il sacrificio se vuole che le sue ansie, le sue insoddisfazioni, il suo vuoto trovino pace. Le mani ancora intirizzite si posano frementi sull’impassibile corpo, affondano nelle oscure fauci, vi si stringono dentro quasi incredule. Una, due, tre volte... Sembra che la disumana creatura lo voglia respingere, sembra che si accanisca contro di lui, insensibile e spietata divinità di un fato ostile. Ma alla fine cede, si degna, accetta. La funerea voce del saziato nume inghiotte l’offerta, e nulla più ha importanza. L’attesa, il verdetto finale... La sentenza di vita. Il cuore batte all’impazzata, un brivido di voluttà gli percorre la spina
dorsale da cima a fondo, un orgasmo che nemmeno da quella pur eccitantissima
ragazza avrebbe potuto ricevere tanto intenso lo travolge nervo per nervo. Piega le ancora tremanti ginocchia, svelle dal ventre dell’indifferente mostro le mani. Spasmodicamente avvinghiate intorno ad un pacchetto di sigarette. 2001 |
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