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Chiostro Villa San Lorenzo

Sesto Fiorentino

Monica Martini

Ricomporsi adagio

19 ottobre – 2 novembre 2013

Il 19 ottobre 2013 è stata inaugurata la prima personale di Monica Martini, socia di LiberArte, nel chiostro di Villa di San Lorenzo a Sesto Fiorentino (Firenze), una mostra che, riportando il pensiero del Presidente dell’Associazione, Luigi Bicchi afferma:

“I temi che affronta sono estremamente quotidiani, ponendoci nel contempo riflessioni più ampie sul nostro modo di vivere in rapporto agli altri che fino ad oggi, ed ancora in qualche caso, consideriamo altri.”

Gianni Calamassi con la pittrice Monica Martini.

Questo per Monica non vale, lei osserva gli altri, si pone a confronto e lo fa ponendosi le domande che ognuno di noi dovrebbe farsi:

“Guardo l’Africa e mi domando dove li conduce il cammino nel deserto che percorrono padre e figlio (“In viaggio”)?”

In cammino
In posa

Fuggire
La fatica del pensiero

E rispondersi che forse fuggono dalla miseria e dalle sofferenze (“Fuggire”) non è superficiale, se poi si perdono in un mare impassibile, quel mare nostrum che solo la pietà di qualcuno può domare, ridando loro la speranza di vivere una vita, per noi, normale? Anche alle giovani africane piace mettersi “in posa” per un ritratto, quello che i nostri ragazzi si fanno utilizzando ogni tecnologia a disposizione, e che loro non condividono ancora.

Cosa dire del ragazzo peruviano, ma che può essere di qualsiasi altro paese centroamericano, che sotto il peso di qualcosa più grosso di lui, volge lo sguardo quasi a cercare una risposta ai suoi pensieri (“La fatica del pensiero”)?

Queste sono le domande che l’artista si è posta ed alle quali può solo rispondere: li ho sempre davanti, così, come li ho visti e dipinti.

Ombrello aperto. Ombrello. Valigia.

Questo è tuttavia solo il punto di partenza, perché il percorso non si ferma qui, Monica sa che è attraverso gli altri che noi possiamo ricercare chi siamo, superando nome, nazionalità e professione.

Chi siamo veramente dentro? E’ allora che l’artista inizia la sua ricerca personale, la sua ricerca sull’essere e non sull’apparire.

C’è nel suo lavoro una scissura tra il prima e il dopo, adesso l’indagine si sposta su di sé e le tele ne danno conto di questo suo lavoro d’introspezione, ed ogni quadro suscita domande ed obbliga il visitatore ad andare oltre l’immagine nel cercare d’interpretarla.

E’ l’ambiguità che suscitano le domande, anche se talvolta la lettura sequenziale sembra dare delle risposte; la ragazza con l’ombrello aperto entra al riparo o esce all’esterno, anche se il chiarore sull’ultimo arco fa pensare, a me, che sia entrata, in questo corridoio di archi che schiacciano la sua persona lasciandole poco spazio per muoversi, fino ad arrivare ad una piccola finestra da cui affacciarsi e prendere coscienza dell’oltre (“Ombrello”).

Nei suoi quadri gli archi opprimono, sono come budelli che lei è costretta a percorrere, se vuole avere la tranquillità di osservare il mondo.

Anche in “Valigia” riappare l’ambiguità: la ragazza ha sceso le scale o non trova il coraggio di salirle? Dietro non c’è luce, fuori della porta chiusa, solo immaginabile, c’è un altro personaggio seduto sugli scalini, ecco, io preferisco pensare che, con tutti i problemi del mondo esterno, la ragazza, pur pensierosa, ha preso la decisione di confrontarsi con il mondo e di uscirgli incontro.

La riflessione che può sorgere è la sequenza temporale delle azioni che le opere propongono, e il fruitore è libero di sviluppare i propri pensieri nella direzione preferita, o che è più consona al suo essere.

Questo è il percorso che Monica Martini intraprende: il suo “Ricomporsi adagio”.

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