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Francesca Ruth Brandes
e la poesia di Luccia Danesin
Il 6 settembre 2010 presso Ai Pirati a San Giuliano di Mestre la poetessa
e critico letterario
Francesca Ruth Brandes ha raccolto un numeroso pubblico per l'Incontro con
Luccia Danesin, nota poetessa e fotografa discente da una famiglia padovana
di fotografi dall'Ottocento. Ha coordinato l'incontro
Elio Jodice. Le poesie sono state lette dall'attrice
Natalina Bortolami.
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La sala dove si è svolto l'incontro. |
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Ricercare o accogliere la
poesia, per me,
è essenziale per un incontro
interiore,
misterioso: sola e senza meta,
per ‘sentire’.
Luccia Danesin
La lirica di Luccia Danesin, da subito, colpisce per una
molteplice e multiforme ricchezza, poi distillata in sintesi, in gocce di
abbondanza. Difficile racchiuderla in formule univoche; segue i ritmi della
vita, i trasalimenti, le tensioni. Sembra, da principio, far presagire percorsi
privilegiati e circoscritti – lo sguardo in sé che si fa sguardo del naturale,
l’attenzione ai silenzi, al tempo delle stagioni - , trame che invece
s’interrano ben presto in un mondo ricco di falde, dalla mobile vita.
Ci appare chiaro che Luccia rifugge dal congegno di un
canzoniere chiuso, autoreferenziale e che i pochi versi, le linee servono da
coagulo ad una materia straripante, ondosa, varia. L’apparente propensione
diaristico-riflessiva dell’autrice mette in luce, in realtà, una scelta (per
usare un’espressione luziana che amo molto) di naturalezza poetica, di
semplicità: di qui deriva una forma sintattica ancorata alla paratassi e colma
di pause, d’interruzioni, d’interne svolte del discorso. Tuttavia s’intuisce,
nella sintesi, nel verso polito all’inverosimile, un’intenzione confidenziale
nel ritrovare alcuni modi importanti del fare poetico: lo struggente senso di
vitalità della natura, ad esempio, la partecipazione commossa allo spargersi dei
semi nel creato che le parole inseguono ed esprimono in analogie implicite.
Assistiamo, anche nel procedere dei versi tra la prima
raccolta Un fard rosso arancio del 1997 e la seconda Il cerchio dei
respiri del 2001 (entrambe per i tipi delle Edizioni del Leone), ad una
sottile, ma a mio parere importante, variazione: il perno su cui è impostata la
ricerca formale si è via via spostato più all’interno, nel cuore della
nominazione, dell’immaginazione e della metafora. La lirica ne guadagna una
sorta di misteriosa profondità, un timbro accordato con l’impasto della vita, la
quale è direttamente tavolozza (per usare un termine caro a Maria Luisa
Spaziani, la grande poetessa che ha curato la prefazione de Il cerchio dei
respiri), una tavolozza magicamente fusa ed assieme densa di contrasti.
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da sx: Luccia Danesin,Francesca Ruth Brandes,
Elio Jodice e
Natalina Bortolami. |
La voce della poesia è giunta al punto della più faticosa e
travagliata purezza: la parola nuda è lavorata finché assume – in un discorrere
altrettanto piano e sobrio – un’intensa carica di verità e di saggezza. È una
parola che ha in sé (ancora con un suggerimento luziano) nadir e zenit, che può
espandersi in tutte le direzioni, capace (senza compiacimenti lessicali e
musicali di ascendenza ermetica) di ordire una suggestiva sintesi lirica. Luccia
possiede – e non trascuriamo l’essenza della Danesin fotografa, e grande
fotografa, perché ci può aiutare a capire – una misteriosa abilità, una
consapevolezza che porta naturalmente le parole al loro massimo di senso,
di capacità comunicativa. Come uno scatto efficace. Il movimento della lirica di
Luccia è un approfondire, una discesa in profondità, in sostanza un inverarsi.
Anche la lente della memoria acuisce lo sguardo, lo avvicina
alla grana ruvida dell’esistenza e dell’enigma temporale, senza che la voce ceda
mai ad un esclusivo tono elegiaco. Anzi, in Danesin la memoria è resa, con
grande lucidità, strumento di conoscenza della propria vita e del destino di
tutti. L’autrice realizza pienamente la propria vocazione ad una voce
femminile nel continuo darsi alla vita, al compito alto del vivere: nucleo
in cui tutti gli estremi si toccano, dove nessuna parola di decadenza è
definitiva. Lo definirei un modo di universale e perpetua maternità, di
disperata speranza anche nel colloquio con le ombre amate. Il dolore e la
mancanza sono rovesciati in uno slancio nuovo, in una misericordiosa propensione
positiva. Le liriche di Luccia sono atto coraggioso e geniale di sentimento del
tempo, una sorta di delicata ed amorosa resistenza espressa in versi di
cristallo, per citare una sua bellissima lirica che racconta meglio di ogni
chiosa il suo senso della vita, della nostalgia, dello scrivere come
testimonianza.
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Francesca Ruth Brandes,
Luccia Danesin e
Natalina Bortolami. |
foto © Francesco Danesin
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