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Gli anni Sessanta visti da un bar letterario

Mercoledì 13 ottobre 2010 al Bar Jamaica di Milano vicino a Brera è stato presentato  il libro di Wilma Minotti Cerini Ci vediamo al Jamaica. La straordinaria vita artistica e bohèmienne milanese degli anni Sessanta (Edizioni Gruppo Albatros-Il Filo) e in copertina una foto storica del grande fotografo Alfa Castaldi. Un evento che ha riunito sia chi ha vissuto quegli anni mitici artistico-letterari degli anni Sessanta, che i nuovi giovani della "Milano da bere e della moda", ritrovando nello stesso ambiente, inalterato nel tempo, lo spirito e la storia di una città che ha mantenuto un fascino particolare.

Inframezziamo le immagini dell'affollatissima presentazione con qualche stralcio di una intervista che l'autrice ha rilasciato al giornalista Roberto Cutaia de "Eco Risveglio" di Verbania.

Che cos'è il Jamaica? «Il Jamaica è il posto mitico della Milano letterario-artistica del dopoguerra. La vita del Jamaica inizia nel 1911, quella artistico-letteraria nel dopoguerra, grazie a Elio Mainini figlio della proprietaria detta "mamma Lina", che trovandosi vicino a Brera organizzò il premio denominato "Premio Post Guernica". Diventando di fatto il "luogo" degli artisti dell'avanguardia da Lucio Fontana ad Enrico Baj, da Gianni Dova e Roberto Crippa a Cesare Peverelli, insomma c'erano i nucleari, gli spaziali, i dadaisti e i surrealisti».

Altri personaggi? «Beh! Andava Ernesto Treccani figlio del fondatore della Treccani, i grandi fotoreporter Ugo Mulas, Carlo Orsi, Mario Dondero, Alfa Castaldi, e poi il noto Piero Manzoni con la famosa "Merda d'artista" che allora aveva suscitato grande scalpore. Registi come Mario Soldati, Visconti, il poeta Salvatore Quasimodo, Luciano Bianciardi, Allen Ginsberg, Dino Buzzati, Dario Fo, Umberto Eco».

Lei cosa ci faceva al Jamaica? «Conobbi il Jamaica negli anni Sessanta quando avevo vent'anni mi ci portò un'amica giornalista. Di solito andavo la sera prima di rientrare a casa oppure la domenica andando a visitare Brera». Cosa preferiva sorbire quando si trovava at bar Jamaica? «Essendo astemia solo analcolici, il più delle volte semplicemente dell' acqua».

Ha nostalgia di quel tempo? «Le epoche sono sempre irripetibili, quello del Jamaica fu un bellissimo periodo. Era l'unica realtà italiana paragonabile all'atmosfera bohemienne parigina. Tra i frequentatori c'era un forte senso di amicizia e di solidarietà, spesso quando un artista cominciava a far strada di frequente offriva il pranzo agli amici».Per concludere con "Ci vediamo al Jamaica" ha voluto, diremmo conservare uno spaccato della Milano mitica? «Sì, avevo iniziato a scrivere questo libro circa vent'anni fa e di recente presentandolo appunto al Jamaica sono venuti in tanti, alcuni anche frequentatori di quel periodo. È stato motto bello».

Roberto Cutaia©


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