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Ti mando in “cu-Cina”
C’è un detto nostrano, “va in Cina !”, che di
solito viene esternato quando si vuole mandare qualcuno “a quel paese”.
Personalmente non avevo mai capito il suo significato e la sua origine; forse
dipende dal fatto che la Cina è un cripto-mondo a modo suo, chiuso nella sua
storia millenaria, che per certi periodi è stato inaccessibile agli stranieri,
quasi geloso della sua tradizione e direi … delle sue contraddizioni.
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Una parte non restaurata della Muraglia cinese: grandiosa opera
costruita per proteggere una antica civiltà dalle invasioni straniere. |
Cristina T., cittadellese di 42 anni, è andata in questo
cripto-mondo e ci vive da 14 anni, impegnata in attività di scambio culturale e
collaborazione con enti sociali locali. E si trova bene, tanto che è rientrata
in Italia per motivi di famiglia, ma ci tornerà quanto prima. Da una sua
testimonianza, resa in un incontro organizzato dal Gruppo Missionario di
Fontaniva, si capiscono tante cose, che spesso non trovano riscontro nella Cina
dipinta “da chi la descrive da fuori”. Per capire la Cina e i cinesi è
necessario accettare e assimilare i loro usi e costumi per farsi come loro. E
Cristina ci è riuscita, tanto che a volte la confondono con una di un’etnia che
vive all’estremo ovest della Cina, vicino all’Afganistan.
Il punto di vista cinese è sostanzialmente “unitario”,
quasi una derivazione dal motto di Gengis Khan “un solo sole in cielo, un
solo sovrano sulla terra”, per cui un solo popolo, una sola lingua, un solo
orario e un solo pensiero. Pensiero che ha l’esclusiva sull’educazione e
sull’organizzazione della vita sociale, compresa anche quella religiosa. Ma
nella realtà non è proprio così perché qualsiasi espressione religiosa o sociale
è tollerata purché non costituisca una minaccia o un ostacolo all’armonia, che
deve respirarsi nella società, quale indice di società sana. Questa è la
caratteristica “contraddizione cinese”, dove in teoria non si può fare, ma si
fa; non dovrebbe esserci, ma c’è. E qui trovano spazio la sorpresa, la
creatività, l’accettazione, il rischio. Nei fatti concreti molte cose si
discostano da questo pensiero unitario, sono situazioni che esistono e vivono, e
sono parte importante della cultura e anche dell’economia del paese. Quella
cinese è una realtà ricca, anche nelle contraddizioni, che può essere conosciuta
e capita solo dopo aver vissuto molti anni in Cina, dopo aver imparato la loro
lingua, aver sperimentato la vita locale in prima persona e non soltanto come
turista o osservatore; viene compresa solo dopo aver instaurato quelle
fondamentali relazioni con la popolazione locale, che permettono di conoscere e
comunicare la realtà così come la vivono loro.
La Cina è vastissima e ciò che succede al nord non è quello
che succede al sud o in altre sue regioni. Nella zona di Pechino, ad esempio,
non si coltiva il riso, per cui l’alimentazione è basata molto anche sul grano o
altri cereali, mentre il riso viene importato da lontano. Lo stesso discorso
vale per tutto il resto. Dire “in Cina è così” diventa impossibile perché
generalizzare non corrisponde alle diverse realtà. Questa considerazione, però,
seppur in forma più limitata, può ritenersi valida anche per l’Italia o altre
parti del mondo. In Cina ciò vale maggiormente per la complessità e la vastità
del suo territorio, per la sua millenaria tradizione e perché è sempre stato un
mondo a modo suo, che certamente noi conosciamo meno rispetto ad altri:
probabilmente per questo è nata l’espressione “va in Cina !”. La proprietà
privata del terreno non esiste, gli abitanti vivono principalmente in
agglomerati urbani e lavorano il terreno assegnato dallo stato, che si trova in
zona, spesso a rotazione con altri assegnatari. Ma anche in Paesi più vicini a
noi è così, come in Inghilterra, dove il terreno è di proprietà della regina.
Anche il rapporto uomo e donna in Cina è particolare. Tutto
al contrario dell’Africa, o dei Paesi arabi, dove la donna, da sempre, è
sfruttata e non conta niente. Un forte impulso in questo senso è stato dato in
Cina dalla “Rivoluzione culturale” degli anni ’70, per cui oggi la donna ha
nella società una posizione paritaria all’uomo. Guida gli autobus, è inserita
nel contesto lavorativo senza discriminazioni, mentre l’uomo spesso si occupa
delle faccende domestiche. A cucinare, soprattutto quando ci sono degli ospiti,
i migliori cuochi sono uomini. Da qui il titolo con l’espressione, riferita
all’uomo,: “Ti mando in cu-cina ! ”. I figli si staccano dai
genitori quando si sposano e non mancano i matrimoni combinati, forse è un modo
da parte dei genitori di “liberarsi” dei figli, in quanto la
responsabilità verso questi dura fino a quando i figli non si sono sposati,
mentre da quel momento inizia la responsabilità dei figli verso i genitori.
Certamente i divorzi sono frequenti, basta una firma senza tanta burocrazia, ma
per quel che ha visto Cristina ciò succede nelle nuove generazioni, mentre i
matrimoni, che noi chiameremmo “combinati e/o senza amore”, reggono ancora anche
dopo 40/50 anni.
Questo spaccato della Cina, visto da dentro, è ben diverso
da quanto conosciamo attraverso qualche reportage confezionato dall’esterno.
Cristina vive la situazione “da cinese” e questo è il modo migliore per capire
questa realtà, che al giorno d’oggi sta diventando sempre più potente e in forte
espansione, dove in fondo le situazioni di povertà sono inferiori rispetto a
tante altre realtà, probabilmente anche rispetto alla nostra.
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Gruppo di pensionati che si divertono in balli
etnici, espressione di folklore, colore, scambio delle diversità. |
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