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La
notte di San Giovanni Battista |

Stendardo del gruppo folcloristico di Penna Sant’Andrea.
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Il “Museo delle Genti d’Abruzzo” di Pescara e l’Associazione Astra -
Amici del Museo, nell’intento perseguito di diffondere il ricco patrimonio
etnico - culturale della regione, hanno organizzato, sabato 23 giugno 2012,
presso l’Auditorium Petruzzi dello stesso museo, l’evento
Festa del solstizio
d’estate - La notte di San Giovanni.
Il programma ha previsto gli interventi del direttore del Museo delle
Genti d’Abruzzo dott. Ermanno De Pompeis, del prof.
Marco Fabbrini,
studioso di demo-antropologia del territorio abruzzese, e della prof.
Franca Minnucci, curatrice artistica della manifestazione.
La Minnucci, con la consueta bravura, ha letto e commentato
significativi brani sulle antiche consuetudini legate alla notte di San
Giovanni, fra cui quelli tratti dal libro
Echi di riti e miti della scrittrice e giornalista
Daniela Quieti,
appassionata cultrice di tradizioni popolari, presente all’incontro.
L’opera citata è una raccolta di racconti dedicata in gran parte alle
suggestioni e al folclore della terra d’Abruzzo, con prefazione di
Romano
Battaglia e postfazione di Ilaria Degl’Innocenti. La silloge, edita
per i tipi della casa editrice Ibiskos Ulivieri, ha vinto, fra gli altri, il
Primo Premio Autori per l'Europa 2009.
Nell’ambito dell’iniziativa è stato riproposto l’antico rito del
"Comparatico", consistente nello scambio di mazzolini di erbe e fiori odorosi
quale invito a credere, oggi più che mai, nei valori universali di amicizia,
affetto, stima, sincerità, fedeltà.
In conclusione di serata, dopo un brindisi con il nuovo aperitivo della
storica ditta Toro, il gruppo folcloristico di Penna Sant’Andrea (TE) ha danzato
il Laccio d’Amore, un ballo di origine arcaica, residuo di liturgie
celebrative propiziatrici di fecondità e dedicate a divinità arboree:
dall’annodare e snodare nastri colorati intorno a un palo, allegoria della
vicenda amorosa dal primo incontro alle nozze,scaturivano – e ancora, forse,
scaturiscono – positivi o avversi presagi per future unioni.
L’esibizione del Laccio d'amore è accompagnata dalla musica
del caratteristico organetto abruzzese detto du’ botte.
Con questa iniziativa il Museo delle Genti d’Abruzzo si è riconfermato,
come sempre, non solo luogo per la conservazione di reperti archeologici, ma
anche testimone privilegiato capace di custodire e rinnovare memorie storiche,
emozioni e sentimenti del ciclo vitale dell’uomo.
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Franca Minnucci legge brani dal libro Echi di riti e miti
di Daniela Quieti, |
Il gruppo folcloristico di Penna
Sant’Andrea danza il Laccio d’Amore. |
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— “La magia del solstizio d’estate” in
Echi di riti e miti di
Daniela Quieti.
Non credo più, come quando ero bambina, nemmeno a un’altra usanza
diffusa, quella che, per difendersi dalle stregonerie, bisognava nascondere
sotto il cuscino lo “scacciadiavoli”, un amuleto consistente in un mazzetto
composto di iperico, erica, lavanda, ginestra, felce, verbena, ribes, artemisia
e cardo.
Il fuoco era poi considerato capace di allontanare gli spiriti maligni
e, in molti luoghi, vengono accesi falò, soprattutto la vigilia del
ventiquattro, con la tradizione di saltare sulla fiamma esprimendo intensamente
un desiderio. Esso germoglierà, quanto più ampio sarà il balzo.
Si mangiano ancora le “lumache di San Giovanni”, contro il tradimento,
raccolte solo da mani femminili, si filtrano le noci acerbe per distillare il
liquore detto “nocino” che donerebbe vigore.
Perché, secondo la leggenda, l’incontro fra le streghe avveniva
intorno a un albero di noce di Benevento al coro di: “Unguento unguento… supra
acqua et supra vento et supra omne maltempo”.
Ci si affida anche alla capacità protettiva della salvia.
Una favola narra che Maria, durante la fuga in Egitto, chiese a una
rosa protezione dagli inseguitori, ma essa rifiutò e fu punita a morire presto
con spine. Anche la vite rifiutò e fu condannata a essere vendemmiata ogni anno.
Così il cardo. Solo la salvia accettò di soccorrere Gesù. La pianta fu benedetta
e divenne un sicuro rimedio.
Resiste la consuetudine, in qualche luogo, di predire il futuro nella
forma assunta dall’albume di un uovo versato in un bicchiere d’acqua e lasciato
esposto al chiaro di luna.
In Abruzzo, e non solo, all’alba del ventiquattro giugno, le fanciulle
guardavano l’oriente. Colei che riconosceva nel sole la testa recisa di San
Giovanni, trovava l’amore entro l’anno.
San Giovanni fu fatto decapitare da Erode, poiché condannato dal Santo
per la relazione con la cognata Erodiade. Questa e sua figlia Salomè ne
pretesero la testa su un piatto d’argento.
Si riteneva che il sole, all’alba della festa, rimbalzasse tre volte,
come la testa decapitata.
Anche Gabriele D’Annunzio cita questo mito arcaico nella tragedia
pastorale abruzzese “La figlia di Iorio”: “E domani è San Giovanni, fratel
caro, è San Giovanni. Su la Plaia me ne vo’ gire, per vedere il capo mozzo
dentro il sole, all’apparire, per veder nel piatto d’oro tutto il sangue
ribollire”.
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