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L'Arte di Remo Rega fra drammatici approdi e speranze
L’arte vola attorno alla
verità
ma con una volontà ben precisa di non
bruciarsi.
(Franz Kafka)
Dinanzi
alle opere di Remo Rega, artista autodidatta di Mesagne che ama operare con
china e acrilico, adottando anche una tecnica mista, abbiamo ancora una volta
riflettuto sulla capacità dell’arte di esprimere il sé profondo del soggetto
poietico e, al tempo stesso, di rimandare la complessità, talora la drammaticità
della realtà, di prefigurarsi anche
profetica.
L’uomo, in genere, nella sua doppia natura ondeggia fra pensieri di bene e di
male, tra visioni drammatiche che la realtà gli suscita ed ancore di speranza, è
come la luce, anch’essa discontinua, dalla doppia natura secondo le scoperte
della fisica.
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Ne
è convalida il nostro artista mesagnese onorato nella sua terra: oltre a mostre
personali e altro, ricordiamo che per la raffigurazione di “Mesagne Estate 2018”
venne scelta proprio un’opera di Remo Rega, narrazione particolare del Pierrot
contemporaneo, violino talora nostalgico di icone e simboli di un passato
raffigurato nei riquadri posti attorno, anelito alla pace, come si coglie nelle
colombe che volano su un globo. Ma il nostro artista è onorato anche fuori
regione, dove è presente in Mostre riscuotendo successo.
Se
fissiamo lo sguardo su alcune sue realizzazioni, vi cogliamo, nella maniera in
cui solo l’arte non estranea alla vita reale può fare, gli approdi dell’homo
technologicus consumens, giunto, da decenni ormai, oltre quel pensiero
che venne nel Novecento affermato dai filosofi della Scuola di Francoforte:
manipolazione dei sistemi di propaganda, asservimento alla società industriale,
la ratio come puro strumento di calcolo, riduzione dell’uomo a una sola
dimensione. Approdi che richiederebbero riflessione e impegno nel
ridimensionarli, soprattutto da parte di chi regge le sorti dell’umanità, invece
certi esseri, come rileviamo in un’opera di Remo Rega, procedono per sé stanti,
incuranti del mondo, sono clown senza serietà e dignità che vanno fra canti
suoni e danze, indifferenti a quanto accade attorno, alla moria delle api,
simbologia di vita autentica, del lavoro operoso. Il nostro artista dà delle
api, presenti in diverse opere, una interpretazione diversa da quella che
possiamo cogliere nel poemetto satirico “La favola delle api” dell’olandese
Bernard de Mandeville, il cui succo è “vizi privati e pubbliche virtù”, vale a
dire che in uno Stato fiorente il vizio è tanto necessario – così vien detto
–
quanto la fame per obbligarci a mangiare.
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Ma l’autore del poemetto viveva nella
prima metà del Settecento, quando i sistemi erano diversi e il tempo non aveva
ancora segnato rivoluzioni e guerre mondiali, i tanti terribili eventi che si
sarebbero succeduti, sino a giungere ad una contemporaneità nostra che potremmo
definire, almeno in alcuni continenti, di ‘pace non pace’, alla
industrializzazione snaturante, agli altiforni da ‘moria’.
E’ quanto cogliamo in un’altra opera di Remo Rega,
dove gli elementi compositivi, dalle linee essenziali e decise e con stacchi
cromatici forti, sono tutti finalizzati ad evidenziare la drammaticità di certa
industrializzazione senza le dovute precauzioni, ai cui danni nessuno ha
provveduto: altiforni che fumano nell’azzurro spandendo canceroso aere a uomini
e bestiame, alle api, e sembra cessare la fecondazione, fermarsi la ruota della
vita.
E’ la tragedia della nostra contemporaneità che ha difficoltà a volgere lo
sguardo al futuro.
Un
elemento compositivo, la ruota, anche in altre opere: ruote dentate e monete
sono nel dipinto con l’ infante dall’apparenza robotica, cui sembra permessa la
sopravvivenza; presenza inquietante diventano poi nella composizione dove
balzano quattro puttini dal biancore lunare, con ali ma anche con corna, in
piedi su globi immersi nel mare; e grandi ruote sembrano segnare il tempo del
centro storico di Mesagne, quasi memoria dell’infanzia, rimbalzare anche dal
fondo rosso insieme a orioli dalle effigi sacre, incoronare altrove il castello,
oppure l’ava del tempo antico che nella simbologia attorno fa meditare. Tratti
delicati nella squaw con il bambino, mentre luce battente su cromatismi forti
per il nativo afro che ha perso la sua identità. Una perdita che, a dire il
vero, accomuna tutti nella confusione globalizzata.
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Ma in questo
mondo strutturato per annientare l’io autentico, divenuto ancor di più lotta
globale per la sopravvivenza, Remo Rega non presenta il caos come si ha, a
esempio, nei dipinti dell’espressionista tedesco George Grosz, dove la
narrazione, affastellata e scomposta con durezza e spigolosità, non lascia
spazio ad ancore. La consapevolezza dei disastri, non solo sociali, porta il
nostro artista ad un espressionismo di denuncia che gli lascia, però,
intravvedere spiragli. In un’opera sono presenti gli altiforni insieme a una
grande ruota dentata e alle api, ma ci sono tre infanti dall’apparenza robotica
che sembrano intenti a smantellare la rovina; in un’altra, sui rami nodosi e
spogli, compare qua e là la fioritura a simboleggiare il rinnovarsi della vita.
E Remo Rega ha la fede, grande devozione per l’Arcangelo Michele, la guida
dell’esercito celeste che sconfigge il Maligno, molto rappresentato in pittura
(Giotto, Piero della Francesca, Raffaello, Tintoretto, Reni, Beccafumi,
Giordano, per menzionare solo alcuni), dal nostro artista dipinto con tratti e
tinte lievi, già vincitore del male, raffigurato sotto forma umana, non nella
simbologia del drago, o mentre ascende alla Corte
celeste.
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Eh sì, come diceva Franz Kafka, l’arte vola attorno alla verità ma con una
volontà ben precisa di non bruciarsi. L’arte di Remo Rega denuncia questo
nostro tempo così problematico, disancorato, ma non si brucia, mantiene con la
fede la speranza che il negativo possa essere superato.
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