|
Il miracolo di Illegio
Illegio è un minuscolo borgo della Carnia, nel territorio comunale di Tolmezzo, dove si contano non più di trecentosessanta abitanti di cui circa cinquanta sotto i diciannove anni. Piccolo di estensione abitativa ma grande per la suggestione che irradia. Fu roccaforte per l’estrema resistenza dei Longobardi documentata dal bastione d’epoca riportato alla luce. I recenti scavi hanno persino permesso di scoprire il sito paleocristiano del IV secolo dedicato a S. Paolo, una chiesetta carolingia e resti di castelli medievali. La suggestione si espande nel seguire il percorso degli antichi mulini; il Mulin dal Flec del Cinquecento è ancora funzionante per l’ammirazione degli escursionisti la cui ruota è mossa dallo scorrere torrenziale della risorgiva Touf . Un sentiero montano, infine, conduce gli appassionati delle erte montane a settecentocinquanta metri, per raggiungere la pieve di San Floriano e a godere di un panorama che include l’intera valle sottostante. Tutto questo, comunque, è una magnifica orlatura a una iniziativa che i giovani della frazione, esortati dal curatore don Alessio Geretti, sono riusci a comporre e, quello che più conta, a mantenerla in edizioni annuali e sempre più promuovendo il borgo a località di richiamo. Migliaia di turisti – complessivamente duecentocinquantamila nelle passate edizioni - risalgono normalmente a gruppi queste contrade della Carnia, per raggiungere Illegio dove, pressoché da maggio a ottobre, usufruire della rassegna di bellezze iconografiche concepite da artisti rinomati, sovente opere rare nelle esposizioni o in prima assoluta. Quest’anno, alla mostra, aperta sino al 9 ottobre e come sempre a sfondo mistico religioso, è stato assegnato il titolo di “Oltre” in allusione ai viaggi storici dei cercatori, fuggitivi e pellegrini, eroi o innamorati, verso terre promesse o di esilio. L’utopia, insomma, del sapere di più (oltre), di guadagnare una dimora di felicità, di ingannare la fatalità della morte. “Chi vuol vivere deve partire” è, infatti, il motto che gli organizzatori hanno voluto assegnarle. Opere che coprono cinque secoli di grande arte e allora ecco i Bassano, Bruegel, Francesco Guarino, Jacob Jordaens e il Pinturicchio. E ancora, tra tanti altri, Piero di Giovanni alias Lorenzo Monaco con “San Nicola di Bari salva i naviganti” del 1420 dal Museo S. Marco di Firenze, Sandro Filipepi noto come Botticelli con “Adorazione dei Magi” del 1500 dagli Uffizi fiorentini. Ne faccio una breve ma significativa scorsa personale In “Enea alla corte di Didone” del 1520 di Bernardino de’ Donati, dal Museo Borgogna di Vercelli, protagonista della raffigurazione è Didone, la quale regge sulle sue ginocchia e guarda con dolcezza un biondo amorino, scena osservata da Enea in convivio con lei, più contrariato che sorpreso dalla distrazione della regina, verosimilmente mentre intento a raccontarle le vicende troiane. Una interruzione che sta a presagire la fine dell’amore, l’addio dell’eroe troiano il cui destino è invece il proseguo di un viaggio che lo condurrà all’essere il seme della futura Roma. La peculiarità artistica della luce che inonda gli stupiti commensali nella “Cena in Emmaus” del 1637 di Matthias Stomer dal Museo Capodimonte in Napoli, è la simbologia del Signore risorto che imprevedibilmente chiarisce la sua apparizione mediante la maniera di spezzare il pane e distribuirlo. Un gesto che oggi vale la proba accoglienza dei disperati migranti, per utilizzarvi l’eccesso delle troppe ricchezze accumulate dall’occidente. Coinvolgente l’opera del 1859 “Il malore del pellegrino” di Ferdinand Gorg Waldmuller, ora al Leopold Museum di Vienna. L’insieme delle donne che pietose lo attorniano, con i visi che trapelano dalle teste avvolte col preminente rosso del tessuto, appare allegoricamente quale molteplicità delle grazie profuse dalla Vergine invocata. Quasi un richiamo alla società che non può fare a meno delle donne in ogni campo, esse, madri universali, pronte a collaborare per il bene collettivo. |
|
|