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L’età della prospettiva e delle macchine ottiche

"Paesaggio nello stile di Yan Wengui" dipinto cinese in "prospettiva atmosferica

Prospettiva naturale, fiamminga

Geneviève “Ginette”

Un evento singolare, che recentemente ha gemellato la Puglia con l’Emilia-Romagna, consisteva nella mostra "Boldini, l'incantesimo della pittura" a Barletta in Palazzo della Marra, conclusasi domenica 3 maggio 2020 e, in ordine a un lodevole programma incrociato fra i due Comuni, nella mostra "De Nittis e la rivoluzione dello sguardo” a Ferrara in Palazzo dei Diamanti, chiusa il 13 aprile 2020.

Purtroppo, i decreti legislativi imposti a causa del Covid-19 hanno influenzato il buon decorso delle rassegne per le quali non risulta ci sia stata alcuna proroga o ripresa.

Cogliamo, comunque sia, l’ispirazione per commentare un aspetto artistico, questa volta in riferimento alla prospettiva.

I primi empirismi apparvero nelle tombe egizie, in cui il senso della profondità era impartito dall’ordine delle figure ed era quindi rara che, storicamente, gli artefici cercassero la plasticità o una sorta di illusionismo spaziale, pertanto, le immagini non evidenziavano ricerche di prospettiva lineare.

Grande importanza era data ai colori a ognuno dei quali era assegnato un profondo e mistico significato.

In un trattato cinese intorno al IV sec aC, per la ricerca della prospettiva ci si affidava alla dimensione delle ombre.

Tra gli artisti poi divampò il principio che l’idea dell’opera dovesse anticipare l’uso del pennello in una sorta di filosofia in cui si involgano dottrine cosmologiche e teologiche.

La ricerca della tridimensionalità in queste opere è data dalle raffigurazioni espresse in due piani, viste dall’alto e in assonometria cavaliera, cioè il rappresentare le figure solide, quindi a tre dimensioni, su una superficie piana.

Nel medioevo, il significato di “perspectiva” derivava dall’uso accademico della luce, la quale racchiudeva in sé attributi scientifici e filosofici, ma se vogliamo trarne una genesi artistica non è azzardato percorrere il sentiero cerebrale che avrebbe avuto l’abbrivio dalla cromia egizia.

Giotto (1267/1337), nel suo affresco di Assisi impresse decisamente il senso della profondità, tale da poter esserne considerato il vero inventore; senza di lui, forse non avremmo avuto così presto un Brunelleschi e il leonardesco.

Fu Leon Battista Alberti (1404/1472) a marcare nel suo codice “De pictura” il Brunelleschi (1377/1446), questi ispirato a ideare la Prospettiva artificiale, utilizzando macchine “calcolatrici” delle dimensioni, delle distanze e profondità.

Essa consiste di un punto di fuga dal quale sortiscono le linee orizzontali e verticali; una prospettiva geometrica che si sarebbe ritrovata nella fotografia.

Il Rinascimento (1400/1500) fissò una sorta di Prospettiva sociale nel raffigurare i personaggi con proporzioni via via maggiori in relazione alla loro importanza.

Al richiamo di queste novità, s’impegnarono i Fiamminghi dal XV al XVI secolo, che decisero così di superare la loro tecnica di Prospettiva naturale, questa attinta ai fenomeni come le luci, le ombre e i riflessi, in altre parole con le declinazioni di brillantezza e lucidità cromatiche.

Il tedesco Albrecht Dürer (1471/1528), addirittura, corse in Italia per imparare e qui ebbe l’idea del suo Prospettògrafo, col quale la profondità è calcolata mediante una tensione dei fili.

Leonardo da Vinci (1452/1519) con la Prospettiva aerea e Galileo Galilei (1564/1642) con il cannocchiale, vi apportarono qualità scientifiche.

La tecnica “aerea” si discosta da quella cinese “vista dall’alto” poiché racchiude i cambiamenti d’intensità luminosa e dei toni in ordine alle distanze, allo spazio interposto e alla collocazione della sorgente di luce.

Il vedutista veneziano Canaletto, in seguito, (1697/1768) avrebbe utilizzato a sua volta una sorta di Camera oscura, la cui immagine esterna si proiettava su vetro, che il pittore ritraeva realisticamente, una strumentazione ottica che aveva già appassionato Caravaggio (1571-1610) e Vermeer (1632/1675).

Da rimarcare, tuttavia, che furono soprattutto i pittori fiamminghi a realizzare tra il XV e il XVI secolo opere realistiche mediante l’utilizzo di tecniche ottiche.

Nel rientrare nell’esposizione di Boldini, trattiamo, per concludere, un aspetto della prospettiva in termini moderni.

Il ritratto di Geneviève “Ginette” Lantelme o Lanthelme appare d’intensa sensualità grazie al tecnicismo adottato dall’autore e il cosiddetto punto di fuga irradiante è situato all’altezza dell’ombelico in armonia con l’arto che si appoggia al fianco.

Non solo: l’abilità delle pennellate, in un vorticoso viluppo dell’abito, conduce alla suggestione dell’innalzamento della figura, dalla quale è visibile solo la punta della scarpina, in un effetto ottico complice nel donarle una maestosità muliebre.

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