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L’Odore della Luce
Il mondo femminile nella pittura dell’Ottocento e del primo Novecento

Barletta (Bari)
Palazzo della Marra 2012

Pio Joris Vanità campestre (Roma, Palazzo Quirinale)

In valore cronologico, il Romanticismo, attestatosi con la restaurazione post-napoleonica, magnifica valori collettivi e grandi ideali; a esso s’ispira il Purismo, che reitera i motivi religiosi e la semplicità stilistica del passato.

A prevalere nel secolo XIX è invece il Realismo, inseguendo scene di attualità sociale e condizione contadina.

La tendenza realistica, lievitata nella Francia dall’atmosfera politica e culturale, impressa a seguito della rivoluzione quarantottesca, era partita da Gustave Courbet, che coniò la definizione nella sua mostra “Pavillon du réalisme” del 1855; poi si accostarono artisti dello spessore di Bonvin, Daumier, Gigoux, Honoré e di Jean-François Millet.

Alla fine del secolo germina il Naturalismo, movimento che, ancora in Francia, si candida a raccontare la realtà psicologica e sociale, parafrasandone le scienze. È sempre il Realismo, in ogni caso, che continua a ottenere più credibilità; in contrapposizione agli indirizzi e al linguaggio accademici e contro le esagerazioni volute dal Romanticismo, esibisce la realtà di una società in profonda trasformazione.

Nella nascente arte cinematografica, dapprima muta, è il Realismo, difatti, a rappresentare nei primi del Novecento quei drammi sociali come il film “Assunta Spina” del 1915 interpretato da Francesca Bertini e Gustavo Serena.

Dopo la seconda guerra mondiale assume la definizione di Neorealismo il cui simbolo è nella pellicola Roma città aperta del 1945 di Roberto Rossellini, che vede una straordinaria Anna Magnani affiancata da Aldo Fabrizi; altro simbolo è Ladri di biciclette di Vittorio De Sica girato con attori non professionisti nel 1948.

In una sorta d’insiemistica, si era sviluppata nell’Ottocento italiano una corrente di reazione agli ideali del Romanticismo, pur questo tardo, e in una specie di correlazione con il Naturalismo francese, sotto la diretta influenza del clima del Positivismo e ostentando piena fiducia nella scienza. Tale movimento, definito Verismo, predilige nel campo figurativo, e per opera della Scuola di Posillipo e dei Macchiaioli. il vero, la natura, i soggetti umili. In campo musicale ne traggono ispirazione Leoncavallo, Mascagni e Puccini per i loro melodrammi.

Ecco, infine, i Macchiaioli, i quali inventano la stesura delle macchie chiare in opposizione alle scure in pitture realizzate all’aperto luminoso, “en plein air ”, donde l’Impressionismo ricco di luce e colore con pennellate rapide di tono puro evitando le bozze di contorno, di seguito il Puntinismo e il Divisionismo, il primo basato sul principio scientifico che il colore è un insieme di piccole macchie accostate che danno la percezione del colore risultante, il secondo basato sui filamenti cromatici.

L’esposizione di “Palazzo della Marra”, a Barletta, offre un’accurata selezione di autori coinvolti da tali mutamenti stilistici nell’arte italiana. I curatori hanno fatto molto di più di una semplice campionatura, vi hanno inspirato un’anima che, incalzata dalle immagini, si piega nella percezione di uno stimolo sensorio.

Uno scambio di sensi, dunque, per cui il visitatore vi abbina effettivamente un odore, quello di casa, dei campi, delle persone, delle donne nello specifico, insomma la sensazione d’essere stato compartecipe della scenografia, un conato di vertigine da “déjà vu”, e ne diviene, pertanto, il fruitore.

L’odore si rinvigorisce per l’aver accorpato all’allestimento i versi di grandi autori quali Dino Campana, D’Annunzio, Pascoli e Verga, in una sorta di manifesti d’epoca, dal sapore di tazebao

La visita barlettana si apre con il settore dedicato a “I Sentimenti”, dove, tra le venti opere, ritroviamo Telemaco Signorini, che si erige a coscienza critica dei Macchiaioli, così discriminato a Padova nella mostra a lui consacrata il 2010 nelle sale di Palazzo Zabarella dal titolo “Telemaco Signorini e la Pittura in Europa”.

Qui a Barletta, è presente con Bambini al sole e Contadinella sulla spalletta distolti dal Palazzo Pitti di Firenze.

Silvestro Lega con Il primo dolore (di proprietà della Provincia di Genova) e Ritratto di signorina alias Il grembiule rosso (da una collezione privata bolognese), oltre a contagiare il fruitore, il quale è colto da conati sentimentalistici nell’osservare i personaggi, comunica il suo ormai sicuro incedere verso quel realismo macchiaiolo che non avrà timore di solennizzare con la sua appartenenza alle cospirazioni mazziniane.

Giovanni Giani, presente con Battesimo a Cogne (dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino), pone in risalto il connubio dal sapore liturgico tra natura e personaggi, non trascurando di essi la realistica, antica gestualità. L’incedere del padre che conduce ritualmente il figlio tra le braccia e alle spalle l’inquadratura del paesino sormontato dal campanile, lo scrigno delle tradizioni, non può non coartare la memoria per riportarci a un altro bimbo di Cogne, disgraziata vittima. Un’immagine, quindi, la cui osservazione, oggi, si svolge in enantiosemia, in altre parole da un sentimento positivistico a una tragica reminiscenza da “funeralino”.

Giuseppe Pellizza da Volpedo, poi, con la tela Ricordo di un dolore del 1897, (dall’Accademia “Carrara” di Bergamo), non può non farci immaginare che abbia ispirato Libero Bovio quale autore del testo “Signorinella” del 1931 tradotto in canzone da Nicola Valente.

Nella tela, invece dell’uomo. è la ragazza che ritrova il fiore rinsecchito tra vecchie carte, donatole chissà quando e da chi; ma è lo sguardo di entrambi, del primo raffigurabile dal testo, cristallizzato a quei loro tempi passati, sancisce che ne sono consci e il pensiero si sperde in una passione inarrestabile.

L’artista, allievo di Fattori si era aperto al divisionismo ma senza allontanarsi dal simbolismo; agli albori del Novecento, infatti, avrebbe fissato il logo delle rivoluzioni contadine e operaie, con il suo celebrato e deplorato “Quarto Stato”.

Entriamo nel secondo settore riservato a “I Lavori del giorno”.

Si contano diciannove opere dove gli artisti colgono i personaggi nella natura circostante, quell’essere donne nell’ambiente del quotidiano lavoro.

Qui Giovanni Fattori nelle tele Grano maturo e La boscaiola (entrambi da Palazzo Pitti), esprime il proprio talento veristico, pur reduce di un originario purismo.

Angiolo Tommasi negli oli Contadine a riposo (collezione privata bolognese) e Le ultime vangate (Cassa di Risparmio Firenze) è alla ricerca di un rinnovamento della macchia e propone realistiche, naturali scenografie in cui vige l’eterna insiemistica uomo e ambiente.

Riappare Silvestro Lega con la tavola Signora che cuce (in piedi) del 1885 (Palazzo Pitti) il cui soggetto è ripreso dopo quindici anni da Angelo Dall’Oca Bianca con il suo Donna che cuce (seduta); questi, pittore attratto dal verismo fotografico, ritrattistico, ma soggiogato da un sentito intellettualismo che effonde tra le sue conoscenze letterarie (D’Annunzio, Pascoli, Zola…) e dall’essere autore di novelle da lui stesso illustrate.

Nel terzo settore “Prati e Giardini” è la natura a riprendersi la rivincita in ventiquattro opere, poiché è questa che richiama ogni attenzione.

Torello Ancillotti con le tavole Rougeurs du soir e La Pittrice (da Palazzo Pitti) esprime un impressionismo che risente però dell’originario stile votato al decorativo. Elaborazioni “di genere”, la cui piacevolezza striderebbe con il suo passato di combattente se non ci fosse stata la patriottica adesione alla causa risorgimentale tra garibaldini e bersaglieri; si congedò a Italia fatta.

Di Giuseppe De Nittis, il barlettano, il padrone di casa alla cui produzione è riservata una permanente pinacoteca al piano superiore. Unico italiano tra gli impressionisti storici a Parigi, “l’italien” com’era là ndicato, qui è in mostra il pastello Signora in giardino, di un’eleganza “alla parisien”, coinvolgente l’osservatore sia per i tratti del viso sia per l’abbigliamento, armonizzato nell’elegante sobrietà del giardino antistante alla casa. Qui o mai più che il visitatore meno distratto giunge a percepire l’odore del prato e il fruscio delle vesti.

Giovanni Boldini con le tele Signora con l’ombrellino (da Palazzo Foresti a Carpi) e Berthe in giardino (Torino, Galleria Berman) sfoggia tutto quel suo particolare stile macchiaiolo, così dovizioso di pennellate che pare antesignano dell’informale. L’identica riflessione, questa, che avevamo espresso nell’osservare l’anno scorso il suo “Ritratto della contessa Casati” a Treviso, in Ca’ dei Carraresi nella mostra “Il pittore e la modella”. La natura descritta nelle sue opere, qui a Barletta, pare veramente voler avvinghiare le figure muliebri per mimetizzarle in essa.

Gaetano Previati, reduce anche lui dalla mostra trevigiana con “Aurora”, è andato oltre. La tela Dalie (da Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea) è la prova della sua tavolozza intrisa di nuovi valori cromatici, pur risuonante di quel neoromanticismo e simbolismo che crede di aver superato. La figura femminile non esiste più ma è immaginabile sia appena fuori campo, pronta a ricevere e ad affondare il viso tra quei fiori, per sentirne tutta la fragranza. Lo stesso odore della luce colorata che solo il fruitore di quest’opera può percepire.

Eccoci al quarto e ultimo settore “Confidenze” in diciannove opere, dove i personaggi dialogano, bisbigliano, si raccontano, implicando l’osservatore che ne diviene così l’uditore.

Vincenzo Irolli, nella tela L’anello di fidanzamento (da Novara, Galleria d’Arte Moderna) esibisce quella sua indole descrittiva e ornamentale elaborata, fin troppo, da uno spontaneo verismo originario. Descrizione e ornamento, sia della ragazza sia della natura, che raggiungono tecnicamente l’esasperazione di una macchia che pare voglia concedersi a una sorta di neobarocco.

Pio Joris nella tela Vanità campestre (da Roma, Palazzo Quirinale), impone la propria arte luminista che si era avviata da un naturalismo di smaglianti luce e colore. Il suo personaggio donna dialoga con la natura dalla quale trova riscontro alle sue intimità, pur sempre con tanta pudicizia d’epoca.

Alessandro Milesi, reduce da San Donà di Piave, dove era di casa, partecipe nell’indovinata esposizione “ll cibo nell’arte” del 2011 è qui presente con la tela Dichiarazione d’amore (collezione privata milanese). Il suo melanconico realismo si eleva dalle fondamenta di una pittura “di genere” che va incontro al verismo e all’impressionismo storico; una sorta di arte “alla maniera di…”.

Adolfo Tommasi, cugino dell’omonimo Angiolo, infine, con la sua tela Idillio (collezione Cassa di Risparmio di Firenze) non nega la scuola di Lega ma ne esce imprimendovi una fermentazione prospettica del tutto sua, l’abbrivo di un’intensa peculiarità chiaroscurale e alla ricerca dell’essenziale luminoso e impressionistico.

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