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Conversando con Antonietta Benagiano su “Guarda in alto!”
Antonietta Benagiano, scrittrice italiana versatile (poesia, narrativa, saggistica, teatro) nelle opere pubblicate, come nelle pagine di saggistica e negli articoli presenti nel web, manifesta un pensiero di portata universale. Le sue pubblicazioni più recenti ripropongono il poemetto, non quello della tradizione montiana o pascoliana, piuttosto di Eliot, cui fa riferimento il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli Roberto Pasanisi nella Prefazione a “La sirena” e ad “Esistenza”, suoi precedenti poemetti pubblicati dal suddetto Istituto. La Benagiano ha uno stile, per Luciano Nanni “personalissimo perché nasce dalla fantasia, una qualità oggi non proprio comune, e inoltre da una capacità di scrittura che mostra l’estrema mobilità del linguaggio e il suo adattarsi non solo alle tematiche espresse, ma a una società in continuo movimento”. Del resto Giorgio Bàrberi Squarotti, considerò “La soluzione” un dramma “originalissimo come argomento, impostazione e linguaggio”. Abbiamo appena letto il suo libro “Guarda in alto!”, edito lo scorso gennaio 2021 dal sopra citato Istituto, dove è presente il terzo poemetto e anche alcuni contributi giornalistici. Cogliamo l’occasione per conversare con Antonietta Benagiano.
Sin dall’adolescenza ho amato non solo leggere anche scrivere, ma per decenni ho cestinato, finché un collega, leggendo per caso una mia pagina, mi ha convinta a non farlo, ho preso in seguito anche il coraggio di pubblicare. Appartengo alla generazione educata a vagliare, quindi a non parlare, né a scrivere se il pensiero è banale, non meditato, se il verso non è vivificato da ispirazione autentica.
La tua sollecitazione e la disponibilità del Direttore Avv. Salvatore Viglia mi hanno fatto riprendere l’attività di un certo tempo presso quotidiani oggi scomparsi come cartacei…
Lo scorso anno, soprattutto in alcuni mesi, il lockdown è stato davvero totale, anche nelle regioni dove il Covid era ben poco presente. Nel terrazzo della casa paterna, dove mi rifugiavo per un respiro, rimbalzava il pauroso silenzio dal deserto delle vie mentre mi si ripresentavano immagini di ospedali ricolmi di intubati, e insieme il dramma terribile della scelta. Da sempre e in ogni parte della Terra la scelta, come dimostrano i versi sugli Inuit…
L’uomo è destinato alla scelta, Ananke, la dea che nel mondo della Grecia antica rappresentava la necessità, il fato, costringe pure alla scelta tra vita e morte. Cuore e mente mettevano in moto la creatività, e a sera poi riflettevo su quel che continuava ad accadere, su certe problematiche.
E’ Hannah da “Il grande dittatore” di Chaplin, di cui viene in esergo riportata l’esortazione a guardare in alto, a non perdere la speranza neppure nei momenti drammatici, in totalitarismi e guerre, come per noi nella pandemia. La speranza è pur sempre la leopardiana “goccia” che all’essere umano mai viene meno.
La saggista Lorenza Rocco riscontra negli articoli, presenti nella seconda parte del libro, una meditazione che è anche filosofica, li considera inoltre “radiografia possente dell’animo umano… della condizione esistenziale nella contemporaneità”, per la quale Ella coglie che si ha “un sentimento di pietas infinita”. Sono per la Prefatrice “valore aggiunto… brevi e pregnanti pagine, potente invito alla riflessione sul ‘sonno della ragione’ e sull’analfabetismo sentimentale imperante”. E nei tre “momenti del poemetto” (Necessità - Inquietanti – La scelta) evidenzia soprattutto “il dramma Vita-morte, Eros-Thanatos”, che è “antico e nuovo”, la sua origine dalla “hybris” dell’“homo sapiens” che la Natura sfida e quindi il Creatore, “dimentico della caducità dell’esistenza”.
Come studioso del pensiero il Postfatore ha nei contributi giornalistici evidenziato “l’analisi acuta (e a tratti caustica) dei grandi temi del presente”, la cui comprensione richiede “un esercizio di meditazione” che considera al di sopra della mera attualità. Del “poema breve” (così lo definisce, poemetto gli sembra riduttivo), non paragonabile “ai giardini d’Adone di platonica memoria”, rileva “le radici profonde”. E si sofferma sulla originalità dei due virus in disputa (si dicono incolpevoli di quanto accade poiché, a differenza degli uomini che si macchiano di “hybris”, seguono la loro natura), sul loro “sarcasmo leopardiano”, ponendo anche in rilievo che, mentre in Leopardi è l’infinitamente grande, qui è “un organismo microscopico a mettere in crisi le fragili certezze dell’essere umano… le sue inconcludenti capacità riflessive”.
Dotta come sempre la Nota del Prof. Roberto Pasanisi, appieno rileva la Weltanschauung presente in “Guarda in alto!”, come si può trarre dai suoi riferimenti a Saul Bellow, a “Ne muoiono più di crepacuore”, romanzo che il Critico definisce “brillante di invenzioni stupefacenti e rutilanti dritte al cuore e alla mente”, dove la bellezza della modernità è sì meravigliosa ma priva di cuore, morta all’arte. Personaggi complessi, nevrotici, con una narrazione soprattutto di idee, come in “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, E’ il “piccolo ghiacciaio nel cuore” di cui parla Mattew Arnold. Cuore dell’etica capitalistica è infatti l’egoismo, il profitto che produce danno, pure pandemie. Chiaro: “Guarda in alto!” va al cuore e alla mente.
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