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Dialogo tra Paolo Carlucci e Silvana Baroni
in: Le quinte le frasche le dune
Robin edizioni, Torino 2016, pp. 144
[pp. 135-137].
di Silvana Baroni

P.C.
Ti apprezzo da sempre per quanto ami la tua pelle di libertà, che la tua opera
poetica e grafica dimostrano ampiamente. Sin dal primo incontro mi colpì il tuo
modo di dire ed essere, la necessità etica con la quale ricerchi la parola che
dice la vita, per quanto, anche come visionaria del quotidiano, sei capace di
effigiare infernali macchine di verità esistenziale. Subito mi chiedo e ti
chiedo le ragioni di un titolo così intrigante e pervaso dall’ironia, che sempre
ti caratterizza.
S.B.
Le quinte, le frasche, le dune, sono gli schermi oltre i quali amo guardare. Le quinte, dietro le quali è possibile svelare i più reconditi
comportamenti, mettere a nudo la finzione, e dove la lettura si fa
inevitabilmente corrosiva, aforistica. Le frasche, invece sono l’elemento
naturale entro il quale l’uomo si palesa per quel che è, semplificato a creatura
felice di appartenere alla creazione. Le dune, infine, appartengono al deserto, alla meditazione, alla ricerca filosofica; nel mio caso
rassegnata a non sapere.
P.C.
E’ quello che avevo intuito. Sono i tre livelli dello svelamento. In fondo
ancora il tuo ricercare, con la tua tipica modalità di sguincio, sorniona, anche
affettuosa. A volte mi sembri un gatto che, ghermito il topo, s’impietosisce e
lascia la presa.
S.B.
Certo, la mia è una ricerca che nasce dal dubbio, dalla costante incertezza di
trovarmi di fronte alla verità. Quindi non mi insuperbisco a gatto sul topo.
P.C.
La tua è anche una ricerca di quel ch’è nuovo e/o eterno. E qui la tua indole
personale corrisponde in pieno all’espressività della tua arte letteraria. Sarà
la tua formazione medica, oltreché umanistica, a darti lo smalto del forse,
bisillabo pungente, spesso in fine di verso, di un’esperta in neuroscienza in
praticantato poetico, sempre scevra dell’orpello retorico. So che ami la parola
arte, che ti semplifica le definizioni, in quanto espressione di totale
autenticità.
S.B.
Esattamente. Come del resto non amo la definizione poeta, preferisco scrittrice. Scrivere è segnare, disegnare, incidere la propria
weltanschauung nel vissuto del momento. Questo non vuol dire che non scriva
poeticamente, vuol dire che posso scrivere poeticamente e aforisticamente
all’unisono e infilarci anche un po’ d’ ironia se possibile.
P.C.
A proposito d’ironia, che trabocca in ogni tuo scritto, a volte perfida contro i
costumi di una società che pare evidente non piacerti, a volte smorzata da una
comprensione fortemente empatica, trovo che tu la sappia distribuire in egual
misura nella scrittura e nel disegno. Anche i tuoi disegni sono al contempo
poetici e aforistici. Mi sbaglio?
S.B.
Spero proprio tu abbia ragione. Purtroppo non mi sono così estranea da poterlo
affermare, ma ne sarei felice.
P.C.
Aggiungo che la tua scrittura, come i tuoi disegni, esprimono quella tensione
costante alla misura, alla ricerca del linguaggio come fossero segni che non
possono essere sostituiti. Quelli e nessun altro. Trovo quasi una spietatezza
eroica nel tuo definire la linea borderline tra la certezza di quel che
percepisci e il dubbio costante della ragione filosofica. Le tue basi
sensistiche e poi neopositiviste logiche sono evidenti. Il tuo esserci veste il
vestito del linguaggio che più risponde al tuo bisogno di dire e di creare,
altrimenti, come diceva Wittgenstein, meglio tacere.
S.B.
E’ proprio su questa linea, di orizzonte-miraggio, a cui segue di ritorno
miraggio-orizzonte, che esprimo la mia autenticità. Quella che chiamo Arte. O
almeno lo credo, lo spero.
P.C.
Insomma, il tuo scampanare alla vita ti porta ad essere una … creazionista
spinta! In ogni tuo scritto riscontro, infatti, forza gioiosa di una adesione
piena alla natura e al corpo. Da ciò deriva anche un’ austerità di parola,
che fa la tua cifra di scrittrice al nero di china. | |
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