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Angelo Lippo
Scrivere versi è spalancare le porte del mistero e della vita

Il rumore della poesia è assai simile al canto del vento che accarezza l’erba sollevandosi in aria e abbassandosi in un gioco di note e di colori dal profumo e dall’armonia luccicanti, quasi un sussulto di sguardi, di carezze, di abbandoni…

Questo si avverte d’un subito entrando e nutrendoci della poesia e della parola creativa di Angelo Lippo, un poeta che riesce, e non da ora, a mettere in circolo emozioni, ricordi, elementi esterni sul bagnasciuga di una sensibilità interiore che sembra camminare a filo d’acqua toccando l’io delle cose e dell’animo umano e graffiandone la superficie, in un alternarsi di saliscendi mai artificiosi, obbligando quasi a seguirne le evoluzioni, le percussioni, i vortici leggeri e profondi di un discorso che tende costantemente al rialzo: anche perché “non c’è tempo per la sosta” e “la pazienza dei ricordi non basta | a illuminare la vita che sgomitola | come un topo rincorso dal gatto”:

Angelo Lippo vive a fondo la poesia, dunque, e lo fa avvalendosi di un bagaglio culturale di prim’ordine e di una costante presenza anche nel campo dell’arte, in quanto, da attento critico qual è, va seguendo le mostre e i pittori che si alternano sul palcoscenico non soltanto a livello pugliese (lui risiede, infatti, a Taranto dove, tra l’altro, svolge una intensa promozione culturale soprattutto a favore degli autori emergenti o, comunque, dal calco personalizzante).

Della sua poesia e del suo percorso scritturale si sono occupati, con annotazioni critiche e testimonianze, giornali, riviste specializzate e addetti ai lavori come Elio Sughi, Teodoro Giùttari, Gino Gerola, Cristanziano Serricchio, Antonio Spagnuolo, Maria Teresa Santalucia Scibona, Giancarlo Panini, Giovanni Chiellino, Davide Argani, Laura Pierdicchi, Domenico Cara, Ennio Bonea, Gino Spinelli de’ Santelena, Luciano Nanni e molti, molti altri.

Ovviamente ha scritto saggi, recensioni, profili critici riguardanti poeti e scrittori non soltanto contemporanei; e noi, tanto per curiosare più a fondo nel suo shaker creativo ed umano, ci siamo adoperati per estrapolare da lui, dal vivo cioè, alcuni segreti, alcune piccole-grandi verità, alcune attese…

Cosa ha significato per lei aprirsi alla poesia, assaporarne i profumi nascosti, soffrire per un verso e per una immagine che faticano a trovare quel nitore che vorrebbe? Ne parli.

E’ difficile spiegare come sia nata la necessità di “scrivere poesia”, ma di sicuro non è un passatempo. Chi s’immagina che scrivere versi è un gioco di società, un vezzo per ingannare il tempo, non può capire fino in fondo quanto lavorio interiore c’è dietro ogni parola, quanta ricerca prima di affidare agli altri la propria pagina. Per me ha significato spalancare le porte del mistero, della vita stessa, capire a fondo le ragioni del mio essere al mondo e quello di chi mi sta vicino. Insomma, è un tutt’uno con il mio vissuto. Non saprei pensarmi diversamente.

E’ faticoso, come ha scritto Antonio Spagnuolo, portare “con sé le dimensioni del sogno e della illusione per ritornare a casa prima che scoppi l’uragano”? I motivi.

Proprio in virtù di quello che dicevo più sopra, cerco sempre di arrivare a capire le cose, ad afferrare il flusso vichiano delle intuizioni approcciate, disperse, e poi catturate anche in extremis. Il sogno come utopia della vita; il sogno come realtà della poesia.

Lei usa delle espressioni bellissime non appena si cala ad osservare l’ambiente, la natura, “la polpa dei fichi” che “occhieggia alla dura scorza dei melograni”. Ma cosa rappresenta esattamente per Lei la vita all’aria aperta, a tu per tu con il tripudio dei colori che si rinnovano e si moltiplicano con il mutare delle stagioni?

Il rapporto con la natura, l’ambiente esterno, e prendo a prestito un termine diffuso in pittura, en plein air, è una corsia preferenziale che non ho mai trascurato, per cui le mie poesie abbondano di “lucertole”, “cicale”, “tralci”, “bagnasciuga”, “vitigni”, “papaveri”, “margherite”, “gabbiani”, e tanti altri ancora. Qualcuno mi ha perfino etichettato un carattere “umorale”, per cui, a ragione se piove, se c’è il sole, se fa freddo, se è scirocco, cambia il mio atteggiamento di fronte alla vita e il giudizio sugli uomini e le cose. Io invece la chiamo sacra in/coerenza, che mi aiuta a vivere meglio e a capire più a fondo l’esistenza. Il rigidismo non mi appartiene, tutto ciò che “inquadrato” mi desta ripulsa.

Siamo nel giusto se pensiamo che il Suo respirare costante l’arte pittorica, nella Sua veste di critico, dà un maggiore movimento ed una piena di luccicanti profondità alla Sua poesia?

E’ vero, non posso negare che il quotidiano contatto con il mondo dell’arte, con gli artisti, a diversi livelli, mi ha aiutato e mi porta a vedere i problemi sotto una luce “diversificata”, con un approccio che è unico e in alcuni momenti esaltante. Mi entusiasma e mi fortifica il mondo dei colori, delle forme, che continuo a privilegiare nel mio cammino di poeta e di critico d’arte.

In quale scala di valori colloca i vari Betocchi, Montale, Ungaretti, Fortini, Luzi, Zanzotto…? E da loro, o da chi altro, ritiene di avere in qualche modo perfezionato il Suo io creativo?

Sono tutti poeti ai quali in qualche modo tutti abbiamo un po’ attinto, dai quali abbiamo imparato e scoperto la bellezza della scrittura in versi, ma è difficile dirti chi ha più influito sulla mia formazione di poeta. Forse di più Luzi, del quale conservo un bellissimo ricordo quando ho avuto l’onere di essere in giuria con lui ad un premio, ma non posso negare che mi hanno affascinato i Betocchi, Montale, Ungaretti, Fortini o Zanzotto il più avanguardistico fra questi. Ho per tanto tempo amato la poesia straniera, fra l’altro quella di Eluard, Cvetaeva, Celan, Pasterna ed altri, ma sicuramente ho subito il fascino della lezione maieutica di Danilo Dolci (col quale ho intrecciato rapporti di bella amicizia) anche sul versante della sua poesia, da alcuni posta in second’ordine rispetto alla sua azione di educatore e di saggista. Ma anche altri : Bino Rebellato, un galantuomo delle lettere, e poi tanti altri, per cui l’elenco potrebbe allungarsi ancora. Perciò metto uno “stop”.

C’è stato un momento in cui ha pensato di buttare tutto alle ortiche e di ricominciare daccapo con altri principi, altri metodi, altre simmetrie poetiche? Perché?

Ogni giorno, ogni minuto della mia giornata, ma credo, alla fin fine, che sia un atteggiamento narcisistico, un vezzo al quale un po’ molti di noi si prestano, forse per farsi “ascoltare”, per farsi “notare”, perché sappiamo benissimo che la poesia non “paga” in nessun senso, neppure in “visibilità”. Altri principi, no; altri metodi, forse; altre simmetrie poetiche, chissà. Chi può dirlo, col senno di poi possiamo dire e non dire quello che vogliamo, ma la realtà è quella che ci siamo data, quella per la quale abbiamo vinto qualche scommessa, soprattutto contro l’indifferenza generale e qualche volta anche a dispetto di noi stessi.

C’è un esponente della nostra poesia o della nostra letteratura che ha avuto modo di conoscere a fondo e che ha favorito, almeno in parte, il Suo inserimento nel mondo altro della poesia? Perché?

Ho conosciuto tante persone, alcune en passant, altre più in profondità, ma a nessuno ho mai chiesto un lasciapassare per il mondo della cultura letteraria. In questo senso sono un “isolato”, vio a contatto con molti addetti ai lavori, ma mai mi è passato per la testa chiedere qualcosa. Sarebbe stato immiserire quel poco di creativo che c’è, se c’è, dentro di me, e che mi appartiene nel bene e nel male. Fra i molti personaggi che ho avuto l’onere di conoscere, mi piace ricordare la figura dello scrittore pratese Armando Meoni, al quale ho dedicato una monografia su tutta la sua opera, un uomo che amava coltivare, come scrisse di lui Carlo Bo, il proprio orticello, pur avendo le qualità per essere considerato uno scrittore di primo piano. Per me una figura esemplare, proprio perché non amava le camarille, le consorterie dei salotti letterari. Cose d’altri tempi? Chissà, le preferisco agli “inciuci”di quotidiana prassi. E tronchiamo qui, perché il discorso rischierebbe di portarci lontano.

Visto che anche lei fa parte (e lo diciamo usando alcuni Suoi versi) degli “orfani cantori | di una civiltà spenta”, cosa suggerirebbe per “spaccare il filo | delle attese” del Sud?

La “questione meridionale” è, purtroppo, la questione dell’Italia per eccellenza. E’ inutile ficcare la testa sotto la sabbia. Diciamoci le cose come stanno: il gap fra il Nord e il Sud, invece di diminuire, cresce ogni giorno di più Certo passi avanti ne sono stati fatti, ma mentre il Sud faceva un passo, il Nord ne faceva tre, quattro, cinque, così ci troviamo due Italie. Cosa può suggerire un poeta se non continuare a scrivere, a imbrattare fogli, a sporcarsi le mani, perché si affermi quel “Sud ribaltato” de quale ho scritto decenni fa. Ma il problema è ancora aperto, più sanguinante che mai.

Per concludere: vivere a Milano oppure a Taranto, come nel suo caso, fa una certa differenza per chi, scrivendo, punta in alto?

Proprio per le motivazioni espresse nella risposta precedente, nascere a Taranto, nel Sud, comporta uno sforzo colossale, bisogna lavorare dieci volte per ottenere uno, mentre al Nord si può anche lavorare uno e ottenere dieci. Il discorso sull’egemonia editoriale del Nord è un facile bersaglio. Anche questo è divenuto, nel corso dei decenni, un vezzo intellettuale. Così dicono. Forse hanno ragione, ma sta di fatto che nessuno è riuscito a dimostrare il contrario. Esempi? A valanga. Vuole che Le faccia nomi e cognomi? Ha mai trovato nelle Antologie più accreditate i tarantini Raffaele Carrieri e Michele Pierri, i leccesi Vittorio Bodini e Girolamo Comi? Nemmeno l’ombra. Che dire? Ma non demordiamo, la vertenza rimane aperta. E chissà se un giorno non potremo ottenere qualche risultato. Ce lo auguriamo.

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