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Intervista a Giuseppe Ruggeri
Giuseppe Ruggeri è medico-scrittore siciliano, vicepresidente nazionale dell’Associazione dei Medici Scrittori Italiani e direttore
responsabile del periodico associativo “La serpe”, noto come
giornalista pubblicista, scrittore e saggista. Ci soffermiamo proprio sui suoi
ultimi libri,
Sicilieide e
Incontri in Sicilia.
Ascoltiamo la viva voce di Ruggeri, attraverso le risposte ad alcune domande
su questi due suoi recenti capolavori.
Dai suoi testi emerge una Sicilia “teatro di
memorie”, parte avulsa e al tempo stesso fortemente integrante del resto
dell’Italia nonché luogo di luci e ombre, di contrasti e contraddizioni. Cosa,
nella sua formazione culturale, ha significato l’incontro con scrittori come
Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo?
“Teatro di memorie, in effetti, definiva
Leonardo Sciascia la Sicilia, a significare la sua ancestrale tendenza a far
risaltare, sotto la filigrana del presente, il ricordo delle vicende che hanno
avuto la Sicilia come palcoscenico, quella grande anzi grandissima
stratificazione storica che ne costituisce il peso specifico. E questa è la
principale delle contraddizioni sulle quali si fonda il giudizio che,
dall’esterno, si ha della Sicilia. Il passato come passe-partout per il
presente, la rappresentazione scenica in luogo dello svolgimento reale, così
come ci ha insegnato Luigi Pirandello. Sciascia, come pure Bufalino e Consolo,
sono solo alcuni dei protagonisti di questa rappresentazione alcune volte viva
e cangiante, altre volte misteriosa e crepuscolare. Ciascuno di loro non fa che
interpretare un ruolo in cui riversa la propria tematica personale senza tuttavia mai deragliare dall’immenso contenitore di spunti ispirativi
che è la Sicilia. Il mio incontro con questi autori ha contribuito non poco alla
maturazione del mio senso d’appartenenza a una terra che oggi respiro meglio
rispetto a prima, senza ancora avere, naturalmente, la pretesa di capirla del
tutto”.
Lei scrive che in Sicilia “ogni utopia ha tutte le carte in regola per diventare
realtà”. Parafrasando Jorge Luis Borges, secondo il quale “la letteratura
è la più reale delle finzioni”, può secondo lei
la Sicilia essere assunta a paradigma di una scrittura che tanto più si
allontana dalla cosiddetta realtà apparente quanto più aderisce alla realtà
vera?
“La Sicilia vive di utopie, di sospensioni spazio-temporali che ne
costituiscono la cifra più segreta e oscura. Utopie sono il fenomeno della fata
morgana, i folletti e gli elfi che popolano le notti errabonde di Casimiro
Piccolo, l’irreale Mineo di Giuseppe Bonaviri che vi trasfonde tutto il
suo naturalismo magico. In questo senso dico che in Sicilia ogni utopia è in fondo
un aspetto della realtà vissuto con una lente diversa che ne fa intravedere lati
imprevedibili, sfaccettature che mai avresti immaginato. Potrebbe essere forse
questo uno dei motivi per i quali gli scrittori siciliani, se non lo fanno con
le loro trame, si allontanano dalla realtà con la scrittura che diventa
altisonante e gongoriana, in una parola barocca, in autori come Bufalino, soprattutto, ma anche Brancati, Vitarelli e
altri ancora”.
L’impegno civile è la cifra che accomuna la
maggior parte degli scrittori siciliani di cui lei si è occupato nei suoi saggi.
Un impegno che non può essere in alcun modo disgiunto da quella
peculiare ricerca identitaria dalla quale discende il senso d’appartenenza
necessario a tracciare un cammino condiviso, un’evoluzione in termini di
progresso civile. È d’accordo?
“La ricerca identitaria è un percorso
obbligato per quanti vogliano scoprire, anzi riscoprire le proprie radici. In
tale direzione viaggia l’impegno civile degli scrittori siciliani, nessuno dei
quali per istinto, passione, nostalgia o non so più cos’altro, riesce mai a
sdoganarsi dal profondo attaccamento alla propria origine. Il senso
d’appartenenza è l’effetto naturale di questo radicamento in cui ogni
siciliano ha ritratto se stesso, un po’ come avviene nel Ritratto d’ignoto di
Antonello da Messina che ormai costituisce una sorta di simbolo delle
somiglianze. Tutti i siciliani si somigliano e per questo il loro è un cammino,
come dice lei, condiviso, un’evoluzione civile in pieno senso”.
Un’ultima annotazione riguarda la parte
narrativa o, per meglio dire, inventiva di queste due pubblicazioni. In appendice a entrambe, lei inserisce un suo contributo personale, un diario di
viaggio in Sicilieide e un poemetto in Incontri in Sicilia. Una scelta precisa o
cos’altro?
“Una scelta precisa, certo. La verità è che,
non essendo io un saggista puro, il mio tentativo di scrittura finisce per
approdare spesso e volentieri nell’invenzione, o meglio in una trasfigurazione della realtà in base alle mie tematiche interiori, che sono poi quelle
del siciliano: il gusto dell’ossimoro, il piacere delle tinte forti, dei
sentimenti passionali, la consapevolezza dell’inevitabile decadere della vita
nella morte. Sicilieide e L’isola senza confini sono, in definitiva, due
distinti diari di viaggio, il primo in prosa e il secondo in versi, che
concludono la celebrazione di questo fantastico mondo di castelli di carta che,
diversamente e a più riprese, s’assemblano per fingere la realtà che prende il
nome di Sicilia”.
Concludiamo con un sentito grazie all’autore, augurandogli un buon viaggio in
questa ricerca che rappresenta l’infinita inquietudine di ogni individuo mentre
indaga sul senso della sua vita, del suo esserci oggi in un ambiente e contesto
umano e sociale in cui non sempre è facile ritrovarsi. | |
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