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Due parole con Emilio Diedo
intervista
di Zairo Ferrante
Diedo,una
sommatoria sulla tua attività di scrittore e di recensore.
Ti confido che c’è stato più di qualche momento (per vari
motivi, a seguito di circostanze poco piacevoli) in cui avrei voluto mollare e
chiudere definitivamente con la letteratura. Ma, volente o nolente, non posso
non rinnegare quanto ho scritto, tra pubblicazioni varie (presenza in una
ventina di antologie, 4 e-book personali, una quindicina di libri cartacei
autonomi e tantissimi altri lavori on-line, tra cui credo che cinquecento
recensioni siano anche poche da annoverare, e posso dire di vantare un
altrettanto voluminoso quantitativo di lavori in sospeso: almeno tre romanzi ed
una dozzina di racconti da rivedere; delle circa 3700 poesie che ho scritto in
parte in qualche modo ne ho pubblicate ed in parte sono ancora delle bozze, e
probabilmente rimarranno tali). Mollare mi darebbe l’impressione di non aver mai
scritto niente. È proprio il far finta che in tutti questi anni non abbia
prodotto assolutamente niente che non mi permette di cessare. Poi, il concorso
letterario internazionale San Maurelio, che curo ormai da una quindicina d’anni,
è anche questo un mio impegno non indifferente, a cui non vorrei, almeno per
ora, rinunciare. È una soddisfazione ammettere d’aver scritto una grande
quantità di belle cose. Probabilmente alcuni lavori potranno essere mediocri,
ma, con onestà critica ed umana, penso che nel mio curriculum ci siano anche
delle realizzazioni di valore. Quando penso alle mie affermazioni nel 2000, alla
Biennale d’Arte Contemporanea “Città di Roma-Jubilæum 2000” (vincitore assoluto
per la letteratura edita ed inedita – allora ero un po’ più giovane!) ed
all’inclusione tra i “Magnifici dieci” in una delle riviste del gruppo
editoriale San Paolo, mi basta per convincermi che la mia scrittura non sia una
realtà che sta unicamente nella mia testa. Per cui al momento, in quella che
considero una pausa di riflessione, e non certo un anno sabbatico, perché
intanto scrivo sia per me (limando, rivedendo ed abbozzando) sia per altri
(recensioni, prefazioni e presentazioni in genere), medito su come impostare le
prossime tappe, quelle che potrebbero significare gli eventi più importanti
della mia vita di scrittore. Il prossimo romanzo, già in itinere da diverso
tempo, e che spero di poter pubblicare verosimilmente da qui ad un anno, o poco
oltre, sento che potrebbe essere un elemento determinante. “O la va o la
spacca”, come s’usa dire. Dopo di che, e solo allora, nella peggiore delle
ipotesi, penserei di mollare.
Emilio Diedo poeta, cosmico ed innovatore, vuoi definire la tua matrice
estetica.
Prima di dichiararmi poeta cosmico mi sentirei di
proclamarmi proprio come m’intendi tu: poeta innovatore. Non saprei dire se sia,
la mia, un’estensione sui generis, tale da pormi, anche oggi, tra le
avanguardie. Forse agli inizi, una trentina d’anni orsono, quando veramente
avevo intenti provocatori nei confronti dei contemporanei ed osavo sperimentare
a tutto tondo, allora sì che potevo connotarmi tra le avanguardie. E mi piaceva
apparire tale. In me, parlando di letteratura, c’è sempre stato uno spiritello
libero e ribelle agli schemi prefissati. Però, ci tengo a dirlo, entro certi
limiti. Perché penso che le regole, di qualsiasi natura siano, stiano alla base
della civiltà e della democrazia. Per cui, pur essendo un ribelle, non mi
riterrei uno spregiudicato nichilista, quello che nel sociale si dice il
trasgressore per eccellenza. Anche ora sono precipuamente anticonformista, è
verissimo. Ma il fondamento che governa il mio rendermi controcorrente è un
minimo di buon senso, che credo stia alla base dei rapporti sia civili (civici e
sociali) sia di tutti quegli altri che regolano la globale convivenza e le
organizzazioni di pertinenza, senza le cui regole (statuti, regolamenti, canoni…
convenzioni) cadrebbe il significato di reciprocità tra uomo e uomo e, nello
specifico, tra artista ed artista. Solo in seguito, grazie anche e soprattutto
alla diretta conoscenza che ho avuto nei riguardi di uno dei pionieri della
poesia cosmica, il ferrarese Guido Tagliati, m’è piaciuto alimentarmi alla
stessa fonte. Attualmente ritengo d’avere elaborato un mio equilibrio cosmico ed
estetico che mi consente, quasi ogni volta che mi va di cimentarmi nella poesia,
di letteralmente “spaziare nella materia cosmica”. Sulla poesia cosmica non ho
intenzione di aggiungere altro. A suo tempo ne ho ampiamente parlato. Mi
riferisco ad un’analoga intervista fattami ed ampiamente diffusa dal
neo-futurista Roby Guerra un paio d’anni fa.
Emilio, cos’hai detto che stai preparando?
Ho anticipato nella prima risposta che il mio prossimo
obiettivo è narrativo: un romanzo. Tipologia fantastica, con piano storico
proiettato di qualche secolo nell’avvenire. Altro non voglio aggiungere. A parte
il fatto che mi riprometto, da qui in avanti, di curare appunto più la narrativa
piuttosto che la poesia. So già in partenza che alla poesia non potrò mai
rinunciare. Una cosa tuttavia credo d’averla messa ben a fuoco, nel taccuino dei
miei programmi. D’ora in poi, se uscirò con nuovi lavori, saranno esclusivamente
di narrativa o, al limite di prosa teatrale.
Che ne pensi della poesia di questi ultimi anni in generale e di quella cosmica
nel particolare?
Credo che mai come oggi (quest’ultimo ventennio) ci sia
stato un così accanito contrasto tra il nuovo ed il tradizionale, o, nello
specifico, tra la libertà ed il canone. Non avrei pensato che ancora ci fossero
così tanti “canonisti”. Troppi. E per la maggior parte avversi nei confronti
degli innovatori. Accaniti oppositori! È certamente un peccato, ché non porta
progresso, né estetico né d’intenti, tra le fila dei poeti. Tuttavia le
avanguardie esistono… alla faccia di chi non le gradisca! Quanto alla poesia
cosmica, o altrimenti cosmo-poetica, credo che sia l’unica finalità sulla quale
possa trovare ragione d’esistere la stessa poesia. Sia i canonisti, puri o
metrici che siano, sia gli innovatori ormai ne hanno saputo cogliere l’alto
senso poietico ed ispiratore. Magari senza nemmeno rendersene conto. È chiaro
poi che, al di là delle singole posizioni, ognuno voglia accasarsene un certo
uso. Tu lo sai che, per quello che mi riguarda, avrei le idee molto chiare in
proposito, ma mi riservo d’affermare unicamente che anche quel minimo senso che
i poeti, come del resto gli artisti in generale, sanno coglierne rende più
appetibile la fruizione della poesia, intesa in tutte le sue forme tipologiche.
E, prima ancora, ritengo che stuzzichi gli autori che vogliano consciamente
creare suggestive metafore, stimolanti allegorie, più concettuali
significanti.
Cosa significa per Diedo la poesia cosmica tra passato e presente? Avrà un suo
fortunato avvenire o sarà un concetto limitato nel tempo?
Del mio modulo cosmico d’interpretare la poesia ne parlai
esaustivamente qualche anno fa, tramite la suaccennata intervista di fattispecie
e per mezzo d’un saggio sui due fondatori storici della poesia cosmica: il
veneziano Ugo Stefanuti ed il ferrarese Guido Tagliati, ormai ambedue defunti.
Pace alle loro anime! Saggio pubblicato in diversi siti online e che avevo
pubblicato, in forma cartacea molto più ridotta, diversi anni prima su Literary.
Lì davo le mie personali coordinate della poesia cosmica. Devo per altro
ammettere che si tratta d’una definizione per certi versi asfissiante,
teoreticamente piena, assoluta, difficile ma, per quanto parossistica e finanche
proibitiva potesse apparire, ritengo non sia impossibile da applicarsi.
Ribadisco che per me la cosmo-poetica è la vera poesia di questo presente. Sono
pure convinto che continuerà ad avere discendenze più o meno forti, e
probabilmente anche tra di loro contrastanti, per lo meno per qualche decennio
ancora. Ma vorrei far presente che, come anticipai nel saggio ora citato, la
cosmo-poetica non è stata una scoperta contemporanea, bensì è stata
semplicemente espulsa da un utero che la stava da troppo tempo partorendo,
praticamente da che mondo è mondo. Essa esisteva fin dalle origini della poesia,
da sempre. Il fatto è che non se n’era riconosciuta la valenza. E non ne era di
conseguenza data una propria definizione. Le arti in generale, nessuna esclusa,
sia nazionali sia internazionali, anche extraeuropee, ne sono da sempre
coinvolte, facendone un uso più o meno ampio. Non chiedermi di citare nomi. Non
mi piace farne, perché non vorrei che mi si considerasse di parte. Ce ne sarebbe
da fare un lungo elenco. Ne sortirebbe una lista di nomi interminabile – è
risaputo che la memoria facilmente può ingannare.
Nel concludere vorrei il tuo parere sui
corsi di scrittura creativa.
Sono degli strumenti validi per quanti abbiano intenzione
d’introdursi alla scrittura. E sempreché chi li tiene ne abbia giusta
consapevolezza e competenza. Per uno scrittore che in qualche modo abbia già
intrapreso una sua specifica attività letteraria, sia egli poeta, romanziere o
saggista, penso che invece non servano assolutamente a niente. Li vedrei in
qualche modo limitativi della scrittura creativa, appunto. Purtroppo oggigiorno
c’è una vera e propria inflazione di sedicenti istruttori in tal senso, che
quasi sempre lo fanno per una questione venale più che per vera passione. E
questo è un vero peccato, che non giova per lo meno alla letteratura. Non parlo
delle altre arti. Però l’intuito mi dice che non sia molto diverso il concetto.
Ripeto, non condivido i corsi di scrittura creativa al di là d’una mera
iniziazione all’arte dello scrivere.
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