Intervista con l'autore
Salvatore Mancuso
e il suo nuovo libro Affetti collaterali desiderati

Come si è avvicinato alla scrittura?
La scrittura mi ha attratto fin da
bambino, quando la maestra dettava i titoli dei temi in classe iniziavo a
fantasticare.
Di immaginazione ne ho abbastanza. Casa mia è piena di diari, poesie,
lettere mai inviate. Inoltre, il lavoro che faccio mi tiene in allenamento
costante. Quando ho iniziato a frequentare un corso di scrittura creativa, ho
compreso che fra tanti autori poteva esserci spazio anche per me.
Aveva mai immaginato di scrivere un libro?
Nel 1982 ebbi una vaga idea, una
trama che a grandi linee ho recuperato all’inizio del mio primo racconto. Ero da
poco a Firenze e pensai che un giorno sarei salito sul campanile di Giotto e da
lì avrei visto tanti posti che per me avevano significato qualcosa. Ancora però
non sapevo quali posti e che cosa. Un panorama di 360 gradi è ciò che osserva il
protagonista del mio primo romanzo, a conclusione della propria vita.
Come nascono le trame? Come arriva l’ispirazione?
Entrambe si sviluppano procedendo
nello scrivere. Non c’è un’impalcatura di base. La struttura viene armonizzata e
dettagliata solo dopo lo sviluppo della storia.
Qual è stato il suo primo romanzo?
Fuori stagione (ed. Masso delle
Fate), pubblicato due anni fa, un libro scritto di getto. All’inizio tre storie
diverse, ma quando la terza stette per concludersi, provai un brivido. Avevo
scoperto che, in realtà, i tre personaggi avrebbero potuto essere la stessa
persona.
Veniamo al presente: ha appena pubblicato Affetti collaterali
desiderati (Florence Art Editore). Ce ne parla?

In questo secondo libro, composto
da due racconti, ho cercato di coniugare al meglio la quotidianità con l’ironia
che nasce spontanea dalle difficoltà del vivere. Ho inteso porre in evidenza la
contraddizione tra la realtà apparente, quella cosiddetta ufficiale, e la realtà
interiore, il conflitto che s’innesta nella coscienza, e che poi determina la
ricerca di vie di fuga e di affetti. Necessari, come certi farmaci, e come
questi causa di effetti collaterali. A differenza di quelli prodotti dai
farmaci, desiderati.
So che tiene un corso di scrittura.
Conduco un Laboratorio a Firenze
che ho battezzato “La vita segreta delle parole”. Diffido molto dei corsi, per
definizione. Non a caso l’ho chiamato Laboratorio. Per uno come me che scrive
tutti i giorni, è una palestra, anche dal lato umano.
Mi spieghi la sua diffidenza verso i corsi di scrittura. Cosa ne
pensa?
Ne penso bene. Vorrei però
puntualizzare.
I corsi di scrittura nascono come
funghi. Come questi ultimi, ci sono
quelli buoni e quelli indigesti: bisogna imparare a distinguerli. Alcuni
conduttori si spacciano per scrittori pur avendo pubblicato un libro così
mediocre da risultare imbarazzante o in certi casi, addirittura, ridicolo. Ne
risente la conduzione, superficiale, fatta per lo più scimmiottando schemi presi
a prestito da altri. Non esattamente il massimo. Agli aspiranti scrittori dico:
scegliete il corso (o nel mio caso, Laboratorio) di scrittura cui partecipare
sulla base di ciò che ha pubblicato il conduttore. Se vi sembra un cumulo di
incongruenze, luoghi comuni e frasi fatte, che ci andate a fare?
In che modo conduce i corsi?
Partendo proprio dalla scrittura e
concentrandomi su essa. Una rigida programmazione è
controproducente, preferibile modellare un percorso assecondando le esigenze e
le capacità manifestate dai singoli e dal gruppo.
Far solo leva sul coinvolgimento
emotivo è sleale. A poco serve stimolare alla scrittura se nelle persone non vi
è consapevolezza e assunzione di responsabilità. Più corretto non illudere, è
anzi preferibile scoraggiare chi intende intraprendere una pubblicazione
pensando che ciò basti per ottenere la patente di scrittore.
Un corso di scrittura a cosa serve, in pratica?
Può insegnare la tecnica ed essere
un buon punto di partenza. Fondamentale però è la tenacia, che ancora da sola
non basta: occorre un pizzico di talento.
Lei
ritiene di averne a sufficienza?
In
tutta sincerità non lo so ancora. Però dubito costantemente di essere inadeguato
al ruolo e questo mi è di stimolo per mettere di continuo in discussione ciò che
scrivo. Sono grato a chi critica i miei manoscritti. Grazie a loro aggiusto il
tiro. Guai a dar retta alle parole gentili di parenti e amici!

|