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Intervista a Ninnj Di Stefano Busà
L'intervista è stata realizzata in occasione della presentazione del libro
Quella luce che tocca il mondo, sabato 23 luglio 2011 a Pescara,
nell’ambito della XVI Rassegna dell’Editoria Abruzzese che si è tenuta
presso il Museo delle Genti d’Abruzzo, 15/23 luglio 2011.

Daniela Quieti e
Ninnj Di Stefano Busà.
La Poesia ama
tempi lunghi. Lei ritiene che oggi, in tempi reali, in cui la cultura e la
poesia (più in particolare) restano ostiche e invise ai più, possa ancora avere
qualche indice di ascolto?
Oggi più che
mai, proprio perché viviamo un mondo tragicamente difficile, carico d'incognite,
privato di felicità e serenità: la Poesia è rifugio da antichi dolori, nicchia
refrigerante di temporanea pacificazione col nostro "io" tormentato. In effetti,
come addetta ai lavori, devo ammettere che si avverte un avvicinamento a questa
grande arte, un po' bistrattata, perché spesso incompresa o ritenuta "inutile".
Riguardo alla sua inutilità, vi sarebbe poi, molto da dire. Niente è inutile in
questo mondo, se non il "male". Mi pare che la Poesia non appartenga a questa
categoria, anzi, sia lenimento al male, fatto salvo il timore di esserne intimidito temerla, perché parla un linguaggio interiore, fatto di suoni
modulati al mistero, alla trascendenza. La poesia non è stata mai una materia
bene accetta dal "vulgus" troppe implicanze v'intravede al suo interno, troppe
interferenze di carattere psico-analitiche, troppa cultura, troppo tempo da
perderci per capirla ... e inoltre, il repertorio lirico moderno non ne facilita
la comprensione, l'avvicinamento. Matutti possono trovare nella Poesia quel
"quid" mancante che lega il soggetto al suo infinito, alla memoria fruibile del
suo io più interiore che parla la lingua dell'intelligenza del cuore.
È preferibile che
la poesia sia vissuta dall'uomo di oggi come protagonista? Oppure come comparsa
nel ruolo secondario di un mondo fatto di fattori dissacratori, di devianze, o
assenze?
La poesia è altro da
sé, altro anche dal nostro immaginario comune, dalle regole del gioco, dal suo
verosimile. Non si può immaginare la poesia, senza quel minimo di mistero, di
divinità, di trascendente, d'infinito, di "oltre", di grande che porta in sé sin
dalla sua genesi. Vi è un fattore che la determina, ed è l'esigenza di
rapportarsi con una Entità perfettibile che vive dentro di noi, ma non fa
appello al fragore per farsi sentire, non grida, non si agita. È solitaria
compagna, e accondiscendente segno e sogno infiniti della nostra esistenza. Chi
la scrive per il futuro, ne traccia i segnali, ne istruisce la voce dell'oltre,
suona corde celestiali di una musica divina che origina dal di dentro. Non è
diversamente spiegabile la sua vocazione a restare nelle retrovie del mondo, a
proteggere l'uomo dalle sue stesse temperie. La vita non è solo sogno e la
poesia lenisce in parte questo attrito, questo stridore, le sue incoerenze, gli
affanni, le assenze di un mondo carico di non sense.
La scienza cosa
pensa della poesia? Dove la colloca? Le dà una definizione? La giustifica?
La scienza ha i suoi
alti meriti, la poesia ne ha altri, Le due cose non sono necessariamente
interscambiabili, né cumulabili. Non sono per schematizzare tutti i processi
indistintamente. Trovo giusto che ogni Ente nel suo campo trovi la sua ragion
d'essere e vi si distenda, vi si avvicini come può, meglio che può per creare
armonia, per sintonizzarsi con gli altri Enti, che sono diversificati e hanno
dalla loro la certezza di portare aventi una causa giusta, di sponsorizzare un
bene comune, di valutare in orbite e ambiti diversi le condizioni reali di un
mondo multiforme, variegato e (per certi versi) sconosciuto come è il nostro.
Qual è stato il suo
primo approccio con la Poesia?
Avevo tredici anni
quando misi in essere il mio istinto poetico. Scrissi i miei primi versi su un
quadernetto a copertina nera (come si usava un tempo). Li tenevo in cassetto
come un tesoro da nascondere, erano le prime emozioni, le prime suggestioni
della vita che mi si schiudeva innanzi e di cui capivo appena il profilo. I
contorni netti mi apparvero più tardi, quando capii che ero fortemente votata
alla poesia, quasi come un destino. A quindici anni, mio padre che era amico di
Salvatore Quasimodo, gli mostrò alcuni testi e il grande poeta, ne fu
entusiasta, tanto che espresse il desiderio di farmeli pubblicare con una sua
prefazione. Dopo alcuni mesi morì. Tutto rimase lettera morta anche per me.
Successivamente ripresi il mio iter da sola. Fui letta da grandi critici come C.
Bo, M. Sansone, V. Vettori, A. Capasso, Bárberi Squarotti, fino ai più recenti
Giovanni Raboni, M. Forti, E. Giachery, A. Merini, Walter Mauro, Davide Rondoni,
che ne hanno manifestato entusiasmo e ammirazione. Il resto è storia personale.
Non sono stata consacrata mai dai Grandi Editoriali, ma come abbiamo detto da
principio, la poesia ama tempi lunghi, saprò aspettare, poiché è determinante
per la mia storia personale continuare a scrivere, solo quello ...
La letteratura è
una delle sue più importanti forme di vita, Lei vi dedica gran parte del suo
tempo.
: Si, è vero, fa parte
del mio essere in quanto tale, non saprei disgiungerla dalla mia vita, ma altre
sono state le priorità e le occasioni, diverse le esperienze, le necessità ... a
cominciare dalla famiglia, le figlie Clara e Roberta, i quattro nipotini, e
molto altro. Mio marito mi ha sempre sostenuto, ma sovente ho dovuto prendere
decisioni importanti, occuparmi della conduzione familiare, seguire gli studi
delle figlie, le loro vite, consigliarle, sorreggerle nelle difficoltà, etc. La
mia vita è sempre stata carica di una grande quantità di cose. In tutta questa
fucina non è mai venuto meno l'amore per la poesia. Le sono stata fedele, l'ho
coltivata in silenzio, nei ritagli di tempo, la notte nel silenzio della mia
casa. Oggi la poesia e la fede si combaciano, per me poesia è divenuta anche la
mia fede. Ci credo come ad una religione, cerco di inculcarla nei giovani, nelle
scuole in cui spesso vengo ospitata per discettare di poesia e tentare di farla
amare ai giovani, che rispondono positivamente (devo dire) e per fortuna, perché
la poesia è quel filo sospeso tra noi e il cielo, tra il bene e il male, tra la
vita e la morte, e non si deve spezzare, perché equivarrebbe a rovinare qualcosa
di bello, di buono che ancora resta.
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