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Racconti dal vero di Angela
Ambrosini
Semi di senape
in: "Il Giornale Letterario"
nr. 3 / 2010
A volte è proprio la diversità
a tessere assonanze nascoste. I sedici racconti non hanno,
apparentemente, nessun filo conduttore, né personaggi né scenari, né un punto di vista
che in qualche modo ne uniformi la narrazione. Struttura e genere variano da testo a testo, si
va dal thriller psicologico al
giallo, dalla lettera d’amore al
racconto-saggio, dall’allegoria noir
all’interpretazione in chiave autobiografica di un quadro
celebre.
L’unico collante risiede in
ciò che il titolo della raccolta, dal
sapore evangelico, racchiude: Semi
di senape Racconti dal vero. Chiediamo all’autore.
Com’è nata l’idea del libro?
Essendo
un libro di racconti, è
più che
altro la storia di più
mondi.
Ogni racconto presuppone
un
prima, un poi, un
“durante”. Mi viene in mente
Italo
Calvino che nelle sue Lezioni
americane identifica
l’inizio di una storia con il distacco
da
tutte “le molteplicità
dei
possibili”. Prima di allora
il
narratore ha a disposizione
il
mondo in tutte le sue possibilità.
Accingendosi a scrivere,
deve
isolare, rendendola
unica,
una storia, la sua storia.
Nel mio
caso, ho voluto, ad
un
certo punto della mia vita,
riunire
materiale lentamente e
sporadicamente prodotto in
anni di
gestazione. In modo
prioritario ero e sono dedita
alla
scrittura della poesia, ma,
d’improvviso, ho sentito la
forte
esigenza di coagulare
quanto
accumulato in prosa,
dandogli coesione quanto
meno da
un punto di vista stilistico,
dato
che variegati sono
sia i
soggetti che il taglio strutturale
dei
racconti.
La
scrittura per lei, e di conseguenza
la
lettura, hanno
solo una funzione d’evasione?
Assolutamente no. Scrivere è
un
impegno che si prende con
se
stessi e con gli altri, è una
forma
di ermeneutica, è voler
conoscere la realtà attraverso
la
parola, non è solo e sempre
una
fuga dalla realtà. Il valore
conoscitivo della scrittura implica
saper
conoscere-riconoscere
l’essenza del sé nel
fenomeno del molteplice, isolare
momenti
e sentimenti per
renderli eterni. E questo è
ancor
più vero per la poesia.
Ungaretti diceva che scrivere
equivale a fermare il tempo,
ovviamente non nel senso banale
(e dati
i tempi, merita
una
precisazione…!) di perpetuazione
della
giovinezza,
ma di
un allontanamento del
tempo
stesso come categoria
mentale. Significa cristallizzare
tramite
la parola momenti
estatici che ci
proiettano oltre il fluire stesso
del
dato temporale. Da un
punto
di vista formale altro
non è
che quel particolare
procedimento “rallentato” o
“obliquo” di cui parlava
Šklovskij e che soggiace alla
creazione artistica, operando
una
specie di “straniamento”
della
realtà.
In
un’epoca come la nostra di
grande auge del genere romanzo,
come pensa che
possa sopravvivere il racconto?
Beh,
innanzitutto, scrivendo
racconti! Io, nel mio piccolo, ci
provo.
Non dimentichiamo
che
Buzzati vinse lo Strega
con i
suoi bellissimi Sessanta
racconti. Certo, erano tempi in
cui
l’industria letteraria del
romanzo
best seller non era
così
florida e ben congegnata
come
oggi, ma, soprattutto,
erano
tempi in cui esisteva un
Buzzati!
Da
insegnante, ritengo che il
racconto, così come la poesia,
abbia
una grande funzionalità
didattica, essendo immediatamente
verificabile, autoreferenziale,
imprigionando nello
spazio
di un microcosmo, la
vastità
del macrocosmo di un
autore
e della sua epoca (pensiamo
a
Maupaussant, a Cechov,
o, per
rimanere in
ambito
nazionale, a Pirandello
o al
già citato Buzzati). E
poi il
racconto soddisfa subito
quella
sete primaria del
“come
va a finire” che pungola
il
lettore, consentendo,
contemporaneamente, una visione
istantanea della struttura
stessa
della
composizione narrativa.
Insomma, i vari livelli di lettura
di un
testo narrativo
breve,
la sua forza propulsiva,
così
come avviene per la poesia,
emergono in un tempo-spazio
necessariamente più
ridotto
di quello del romanzo.
Mi
piace ricordare al riguardo
la
frase di Cortázar con la
quale
ho voluto introdurre, in
epigrafe, la mia raccolta di
narrazioni brevi e che sicuramente
costituisce una delle
più
felici e illuminanti definizioni
del
racconto stesso:
“Il
racconto, chiocciola del linguaggio,
fratello misterioso
della
poesia in un’altra dimensione
del
tempo letterario”.
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