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Il pugno nello stomaco

Una valente scrittrice mia amica, nell’osservare la mia scarsa incisività scrittoria, rilevò un dato fondamentale e per lei estremamente positivo: “Lo scrittore se vuole avere successo deve, fin dalle prime righe, infliggere al lettore un gran bel pugno nello stomaco”. Tale tendenza si rivela sempre più evidente dal momento che i nostri cultori di lettere il pugno ormai lo sferrano anche al fegato, al pancreas, alla milza e via anatomizzando.

Nessuna parte del nostro effimero corpo materiale è ormai esente da ganci, montanti, diretti e chi si ostina a voler leggere ormai si rialza coperto di lividi, tranne il caso in cui, per legittima difesa, non è il libro a volare – e giustamente – dalla finestra.

Le storie spaziano dall’autolesionismo in bigi scenari (colpo alla milza, in latino splenum, da cui l’inglese spleen), alla descrizione di umori rivoltanti (colpo allo stomaco e salto della cena, ottimo per le diete), alla pornografia e le depravazioni sessuali (colpo lì e fine di ogni velleità), alle storie banali e inutili, oppure violente e perverse (colpo alla gioia di vivere e incremento della clientela degli psichiatri). Insomma, chi oggi continua a far parte della sempre più esigua categoria dei lettori – patrimonio dell’umanità non protetto dall’Unesco – deve essere fatto di amianto. Eppure il parallelo mondo cinematografico si muove al contrario e i prodotti di maggior successo ricalcano antiche mitologie eroiche (Troy, Crociate), etiche (ciclo de Il signore degli anelli), iniziatiche (i Jedi di Guerre Stellari), mentre i buoni ma malinconici film italiani sono meno apprezzati. Astenendosi da qualsiasi considerazione sull’impero hollywoodiano e sul suo potere nel mondo, rimane un fatto: la gente ha bisogno di sognare, sognare la lotta, la catarsi, la ricerca di se stessi, l’avventura. Un certo Dan Brown, astuto scrittore americano, tutto ciò l’ha capito benissimo e riciclando vecchie storie, peraltro ben note a un’esigua minoranza, ha avuto un folgorante successo con la stragrande maggioranza.

Ma gli scrittori nostrani (maggiori, minori e minimi) cosa fanno? Hanno capito la lezione? Sia mai! Fanno livide osservazioni moralistiche sul collega yankee di cui sopra e continuano a deprimere il loro pubblico che, per dimostrare di essere intelligente, dovrebbe incassare come in un ring tutti i colpi possibili e per di più invocare: “Sì, ancora!”. Neanche il marchese de Sade avrebbe mai sperato tanto. Eppure basterebbe così poco per confezionare un prodotto di alto livello e al tempo stesso gradevole, intelligente ma capace di dare speranza, non di toglierla, colto ma appassionante e il tutto senza ipotizzare una fredda e cinica speculazione sul mercato. Basterebbe crederci davvero! Dopotutto è l’uovo di Colombo.

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