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Se la coscienza si denuda già in copertina, il giudizio inadeguato prende forma drammaturgica nel teatro della poesia, messa in scena tra il tutto e il niente ed il recensore si ritrova diviso nel tempo, quanto Il tempo diviso, si enuncia nella nuova splendida silloge della poetessa veneta Laura Pierdicchi, impegnata a ricreare il pensiero, (dal e con) il "confine astratto", protesa verso la fatica del pensiero da riaccendere, prima che la verità si sperda nella pagina bianca del nulla.

Se la poesia non adempie al suo corso e assolda il pensiero fuori della necessità di resa, il tutto e il niente sfidano la concezione possibilistica e quella nichilista, per approdare verso la cifra minuta dell'istante, quale unità di tempo, in parallelo al battito del cuore e alla esigenza epifania di ciascun verso che palpita: parametro che scandisce il transito della parola e il cammino, passo dopo passo della vita e della silloge. Una silloge di alto profilo che distribuisce componimenti senza indizi di titoli, di sezioni, di architetture, nel novero della poesia, che si distribuisce "divisa", nel senso generoso della azione di San Martino e del suo mantello, nel senso letterario della parola lirica e della parola mistica, immanenza e trascendenza, religiosità ed ateismo, asserzione e negazione.

La voce della poesia deborda in alcune pagine, si restringe in altre, si specchia in alcune sequenze, si ammassa o si prosciuga, nelle varianti moltiplicative care alle avanguardie e alle idee naturali del "gioco", nella "successione di raffiche, scrosci, bagliori, boati".

Il tempo eletto nella sua visone fratta, dualisticamente protesa al dono di sé in porzioni e frazioni del proprio vissuto, assembla palpiti di nostalgia e nel "fitto spazio del disordine", entrambi espressione di "molti stupori", come solo la poesia sa distribuire "nella fatica di svolgere un tragitto", nel prgetto che Laura Pierdicchi compone, libro dopo libro, acclarando una propria poetica compiuta, del pensiero dal quale siamo partiti e che "ritrova lieve e leggero verso la pulizia della grazia apparente".

La ricerca dell'ubiquità focalizzata con geniale intuizione dal prefatore critico Gio Ferri, ribadisce sul piano filosofico e quello esistenziale la contrapposizione del Dio o della Sua negazione, del tutto e del niente ("il blasfemo rivestire Dio dei nostri umili panni").

Laura Pierdicchi, alchimista della parola che si fa carne, non vuole "arrendersi al tempo che scava spazio per cellule morte" e pertanto cerca ancora nel respiro una rugiada e nella "divisione", una possibilità di reiterazione infinita del tempo che si e ci concede.

Recensione
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