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Il tempo dei computer | codifica ogni gesto | registra per il futuro remote storie”. Una poetessa a confronto con la macchina della memoria a futura informazione, si scontra per estrema difesa della “storia”, come memoria collettiva e individuale, accumulata nella esperienza, nel ricordo, nella coscienza, contro la codificazione ibernante dei “dati emozionali”, che vuole e pretende di esternare: “E non provare a tenermi | Ho troppa voglia di strepitare”.

Laura Pierdicchi per le Edizioni di San Marco, poetessa veneta alla sua terza pubblicazione, dopo “A noi che siamo” (1979) e “Neumi” (1983), ritorna alla poesia “Mai più lieve”, non solo per titolo, per scelte stilistiche, ma soprattutto, mai più lieve per maturità acquisita: dispersi i sottotoni, le candide ammissioni, le pudiche riservatezze spirituali, forte della sua interiorità sublimata, con la consapevole identità poetica e femminile, si concede più pesanti, più gravi responsabilità. Ed in campo strutturale amplia la ricerca della sua espressione concettuale verso lidi di garbata sperimentazione, laddove la parola si moltiplica di segnali e di significanti, obbedendo a letture incrociate, abbinate, alternate, concomitanti, distanziate.

La tematica, che ha abiurato la “lievità” dei concetti, si estrinseca su argomenti, temi, vibrazioni e riflessioni di intensa e pregnante vitalità, che la maturità anagrafica e quella poetica “analiticamente, nel tempo che si allunga” sistema nel suo archivio. E’ la ricerca della verità che attanaglia la lezione umana della Pierdicchi. “Copione tra i più difficili da interpretare” che “il coraggio di idee sposate ai silenzi”, portano a risorgere continuamente. Gattopardianamente per non cambiare, la poetessa risolve il dilemma attraverso la rafforzata orma della sua traccia poetica, non più lieve e ancora più proiettata verso la concettualità.

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