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Introduzione a
Arcorass Rincuorarsi
di Maria Lenti

la Scheda del libro

Sanzio Balducci

Lettura del dialetto urbinate

Per una lettura corretta delle parti dialettali di questa raccolta poetica bisogna tenere presenti alcune annotazioni:

1. nel dialetto urbinate ‘a’ accentata in posizione libera diventa ‘e’ solo negli infiniti dei verbi di prima coniugazione: abrace ‘abbracciare’ (ma abraciat ‘abbracciato’), fe ‘fare’, e nella seconda persona dell’indicativo presente di alcuni verbi, fra cui ‘avere’: j he fat gi via ‘li hai fatti andare via’. Questa riduzione del cambiamento a queste sole forme (con -e finale accentata) riguarda l’urbinate di città e non quello dei borghi vicini, come Trasanni e Cavallino, e delle sue campagne.

2. le finali -c, -cc (e c’ all’interno di parola: uc’lin ‘uccellino’, c’reg ‘ciliegio’), che sono definite come affricate prepalatali sorde, vanno pronunciate come la c dell’it. cena: atacacc ‘attaccarci’, bac ‘bacio’.

3. la c a contatto di un’altra consonante e sempre velare, e cioè si pronuncia come la c di cane: arcmince ‘ricominciare’, cmande ‘comandare’.

4. le finali -ch, -cch, definite come occlusive velari sorde, vanno pronunciate anch’esse come la c di cane: formich ‘formiche’, pesch ‘il pesco’.

5. le finali -g, -gg (e g’ all’interno di parola: g’lata ‘gelata’), definite come affricate prepalatali sonore, vanno pronunciate come la g di gelo: apogg ‘appoggio’, coragg ‘coraggio’.

6. le finali -gh, -ggh, che sono definite come occlusive velari sonore, vanno pronunciate come la g di gatto: m’acorgh ‘mi accorgo’, tenghen ‘tengono’.

7. il simbolo j, che abbiamo usato per seguire la tradizione nostrana, equivale ad una ‘i’ e viene posto, non sistematicamente, di solito dove in italiano vi è il gruppo gli: voja ‘voglia’, ecc.

8. il gruppo finale -gn, che corrisponde a una nasale prevelare, va pronunciato come la gn di ragno: el sogn ‘il sogno’, le Vign d’Urbin ‘la zona Le Vigne di Urbino’.

9. quei suoni che in italiano si presentano come ‘s’sorda (it. casa, tassa) o sonora (it. rosa) e come ‘z’sorda (it. zio, pezzo) o sonora (it. zero, mezzo), costituendo i primi due suoni una fricativa apicale sorda o sonora, e i secondi due una affricata apicale sorda o sonora, nel dialetto urbinate (come in vaste aree del nord Italia) hanno una semplificazione: i due suoni sordi sono per cosi dire confluiti in una ‘s’ sorda (cioè [s] in trascrizione fonetica IPA), mentre i due suoni sonori sono diventati ‘s’ sonora (cioè [z] in trascrizione IPA o [ś). Quindi da una parte abbiamo: pes ‘peso’, el mi si ‘mio zio’, pass ‘passo’, pess ‘pezzo’, speransa ‘speranza’, ragass ‘ragazzo’, belessa ‘bellezza’; dall’altra parte… Qui nascono i problemi nelle trascrizioni dei poeti urbinati (sia di ieri che di oggi) giacche non esiste un simbolo riconosciuto per la ‘s’ sonora, perché [z o ś sono segni strambi, non riconosciuti e non accettati; ed ecco allora che si hanno trascrizioni approssimative e incoerenti: luzin ‘fulmine’, striminsit ‘striminzito’, mesgiorne ‘mezzogiorno’, mesanott ‘mezzanotte’. A queste modalita si conforma anche la nostra poetessa.

10. il gruppo finale -sc, che corrisponde a una fricativa palatale sorda, va pronunciato come la ‘sc’ di scena, scemo: fnisc ‘finisce’ (e cosi sc’ all’interno di parola, a contatto di una consonante: lasc’le ‘lascialo’).

11. quando non è riportato, l’accento cade sulla penultima sillaba se la parola termina per vocale, sull’ultima se termina in consonante; in alcuni casi si sono accentate le vocali per maggiore chiarezza.

L’accentazione del dialetto urbinate (come quella dei dialetti metaurensi) non si discosta quasi mai da quella dell’italiano.

Lettura delle poesie

Siamo di fronte a testi multilingui dove la poetessa usa all’interno della singola composizione sia l’italiano che il dialetto urbinate; ci piace rispondere a due domande: che tipo di dialetto ci viene presentato e come esso viene usato.

Innanzitutto dobbiamo sottolineare l’amore della Lenti verso la sua lingua familiare: “E bel da bestia el mi dialett”, ed anche nel prosieguo dei testi si nota una familiarità con questo dialetto, senz’altro da lei ancora usato nella comunicazione all’interno di casa e con le persone della sua cerchia.

Il dialetto di Maria è quello di Urbino d’oggi, quello di città, cambiato rispetto a quello delle periferie e al dialetto di una miriade di paesini e case di campagna sparsi per un raggio di dieci chilometri attorno al capoluogo.

L’italianizzazione degli ultimi cento anni provocata dagli ospiti, letterati e studenti, si fa sentire, dagli aspetti fonologici (si veda la limitazione del cambio a > e ridotto agli infiniti apocopati dei verbi) al lessico dove l’abbandono delle vecchie terminologie dei mestieri e quasi totale, incidendo anche sul lessico più comune della vita quotidiana.

L’uso del dialetto nei vari testi talora e minimo, in altri casi invece incide profondamente. Il dialetto e riservato ai pensieri profondi e taglienti da una angolatura popolare. E spesso il momento ultimo della riflessione, il ritorno al pensiero delle origini vissuto da Maria all’interno della sua comunità. E' la visione della vita dalle colline del proprio luogo natale. Il dialetto, insomma, e chiamato a dare il suo giudizio conclusivo in modo netto ed ovvio.

L’utilizzo dei due codici è spontaneo in Maria Lenti; non mostra forzature, ma rivela piuttosto una volontà di condividere con le sue genti del passato la riflessione di oggi.

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