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Oltre

Attraverso la “nozione del tempo e… dell’Oltre” Laura Pierdicchi ci fa “dono” di una incommensurabile immersione interiore. Un gioiello senza prezzo, tanto è prezioso il suo misurarsi con l’esistenza, l’esperienza, insomma, la vita.

Ho ricevuto l’ultima sua “fatica” poetica, “Oltre”, come se fosse lì ad attendermi da molto tempo, anzi, come mi giungesse da un “non tempo”, da una lacerante attesa inespressa.

Un “testo” fortemente biografico, ma sostenuto da una scrittura di enorme forza espressiva il cui verso ha l’esplicito richiamo universale: diretto, evocativo, dall’essenzialità aggettivale, che scava non per scoprire il significato, ma per aprire spazi senza confini, senza limiti.

Una raccolta poetica, questa, che mi coinvolge profondamente: perché conosco gran parte della vita di Laura e del suo rapporto con Franco, marito e artista di enorme spessore morale e artistico, ma anche perché riapre dentro di me lacerazioni mai rapprese. Ferite che mi portarono a scrivere versi come:

L’amore comincia dopo la morte,
comincia dopo la fine
come una strada buia che si dimentica.

Ho letto “Oltre”, però, con una forza interiore nuova, decantata da tante sconfitte e riscattata da un “tempo” inesorabile il cui linguaggio, alla fine, è sempre un richiamo solenne alla vita, alla memoria come contenitore inesauribile delle nostre speranze e dei nostri propositi. Da cui dobbiamo sempre ripartire per ritrovare la nostra identità, le nostre radici, le ragioni della nostra esistenza e capire che la mancanza non è dimenticanza, oblio, distacco dai nostri percorsi.

«Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.» (C.G.Jung)

Sapendo sempre che svelare la propria dimensione interiore è una manifestazione di maturità sotto l’aspetto del coraggio; significa mettere a repentaglio la propria storia per donarla come una esperienza unica e, in qualche modo, irripetibile.

La raccolta poetica non è solo “la nozione del tempo e … dell’Oltre”, così come acutamente commenta Sandro Gros-Pietro, ma ha come tema fondante quello del dolore, della mancanza. Si tratta di uno stato di sofferenza lancinante che amplifica i suoi connotati perché vissuto nella solitudine, nel silenzio, nell’inconsapevolezza dei più e in circostanze di vero abbandono emotivo e psicologico. Laura Pierdicchi con una coerenza poetica ormai nota, scevra da ridondismi e lacrimevoli pietismi, ci fornisce elementi di incoscienza e assuefazione al dolore esistenziale, emarginati dall’amore, lontani da un senso di felicità e naturalezza che sembra irrimediabilmente perduto.

Però, non si sottrae, per necessità verbali ed esistenziali all’esperienza del dolore, la quale non può condividerla con nessuno. E’ esclusiva. E’ sua, lo è fino in fondo, ma è, allo stesso tempo, universalizzata come simbolo dell’umanità perduta. Per quanta empatia ci mettiamo, per quanto si sforziamo, noi possiamo avere soltanto una pallida idea. Il dolore è l’esperienza individuale per eccellenza, un’esperienza limite, la prova assoluta che nei momenti ontologicamente decisivi (come lo sono il soffrire e il morire) in fondo restiamo a vedercela da soli. Il dolore fisico e mentale segna addirittura una distanza, innalza barriere, sancisce l’autentico confine tra sofferente e mondo. Il dolore è un memento mori che ci sbatte in faccia, uno per uno, i limiti evidenti della materia cui siamo costituiti, di un corpo che all’improvviso non riconosciamo più. A maggior ragione se la sofferenza ci possiede: essa diventa frattura e compagna di viaggio di cui è impossibile liberarsi, l’ospite inquieto e inatteso che dobbiamo sopportare fino in fondo, arrivando a frantumarne il limite del “sentirsi persona”.

“Oltre” è il diario di un dolore, un testo che si riesce a leggere tutto d'un fiato, perché è quel fiato che conosciamo come segno della nostra esistenza. I 63 componimenti che lo formano si dipanano come un filo, che non disegna una teoria del dolore, ma ne vede l'evolversi, passo dopo passo. Quello che sembrava assoluto un giorno, si trasforma il giorno dopo. Quasi che l'autrice ne volesse prendere coscienza.

Con coraggio e determinazione, al di là del valore autobiografico, ci svela la potenzialità dell’amore il quale si manifesta proprio nell'irriducibilità di ciò che l'altro realmente è alla nostra idea che abbiamo dell'altro. Nella poesia di Laura si coglie appieno che l’amore diviene dono prezioso il quale attraverso il matrimonio avviene l’ impatto con qualcosa di molto vicino e intimo e tuttavia sempre e inconfondibilmente altro, resistente, in una parola, reale.

E il ricordo di esso non può non trasfigurare il passato e renderlo simile alla speranza di un futuro che ancora attende di averci fra le braccia.

Anche se la coscienza dell'alterità della persona amata torna continuamente ad imporsi, pur se non è più presente fisicamente: così, anche nel momento della celebrazione della memoria, si fa strada la convinzione che l'amore per chi non è più a noi vicino non domandi l'arresto della vita al momento in cui è avvenuto il distacco, la rottura, la perdita.

In questa prospettiva, il tempo si piega fino a farci toccare la verità della vita che non si spegne mai e ci dà la forza per sopravvivere al nostro destino e per andare “Oltre”.

Recensione
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