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Intrecci di Laura Pierdicchi, è raccolta di immediata lettura, come afferma
Angelo Lippo, dal contenuto che sa de "l'ansia del quotidiano", che ci fa
ammutolire per l'angoscia in cui si vive e alla quale la Poetessa si oppone
grazie alla ricchezza della sua anima. Nella nota biografica di Domenico
Defelice apprendiamo che l'Autrice è nata in Venezia nel 1946, ragioniera,
diplomata in lingua francese, ha pubblicato altre opere, è presente in
antologie, collabora con giornali e riviste. La raccolta si divide in due parti,
nella prima (In Ricordo) si assiste entro un ospedale, a una persona in stato
terminale, nella seconda (Briciole, perché brevi) le poesie sono come flash
back; in entrambe le parti i volti, "stilizzati", sono uno e tanti (non si
comprende bene l'identità).
La lettura mi
è sembrata un po' velata, per quel tanto di intimo che ci si tiene
dentro. Il senso letterale ci offre lo spettacolo di una natura in umido (la
nebbia che si dirada): "copula d'acque diverse" (pag. 3), "fiume verso il mare".
Il ritmo ha andamento armonioso, segue i propri ricordi, in un silenzio rotto
da qualche cinguettio e da "qualche sciacquio". La lettura sotto certa
angolazione presenterebbe una metafora erotica, oppure un ritorno alle acque
materne. La Poetessa sembra che ascolti, oppure che parli sottovoce ad una
persona mancante, che si appalesi, ma della quale sente la presenza e non osa
dubitare: "ora le parole che non ti ho detto | sono bloccate in gola" (5); in
una atmosfera di amorosi sensi, di foscoliana memoria.
Laura Pierdicchi nei "lunghi corridoi" di un ospedale o fredda clinica, osserva
la persona cara con le rughe, lei si rivolge pensando: "al tuo giovane corpo".
Forse si tratta del "Mon professeur | dal dignitoso passo" (7), che "camminava
spedita" (una volta), ma che ora è distesa. Abbandonata ai ricordi si sente
cullare, un esplicito "richiamo sessuale..." diventa metafora di un trasporto
erotico: "La barca scivola lenta". E' presa da rammarico per una persona venuta a
mancare e la malinconia è diventata il suo mantello, pesante "pregna di
nostalgici ricordi" (10); così, la vita che conduce è una finzione, al di qua
del sipario.
La Poetessa all'ambiente ospedaliero oppone aforismi che pesano come macigni,
specie nelle sere di ottobre, ma lo fa con dolcezza primaverile. Nel muto
dialogo, si rivolge alla persona assente: "dal lavello passavi i piatti | che
asciugavo con attenzione" (11, forse si riferisce alla madre). Sente in un
trasporto interiore che la felicità, quando si presenta, è in piccole dosi,
briciole appunto; si nutre di poesia "non importa il tono | il verso o la rima"
(13); lei vive di altro, ma è dubbiosa sulla propria scrittura. Ferma il
sentimento: "Io e te | unica immagine" (16), ma si rispecchia nella morte.
Nemmeno il firmamento ha più lo stesso significato, adesso che è sola. Sente su
di sé la prima carezza ricevuta. Si chiede se nascerà ancora: "Lungo i gradini
della ferrovia | era distesa e non era vecchia | gli occhi di chi ha già provato
tutto." (21).
Laura Pierdicchi
nei ricordi e nelle briciole di felicità trova l'intreccio sentimentale di una
vita interiore intensamente vissuta. Passa dall'impersonale, al Noi, al Tu, in
un monologo in cui oggettiva la morte (di più persone); diventa rischioso
individuarne l'identità. Non intendo arzigogolare intorno, o scoprire chissà
quale segreto; ma penso che la variegata natura umana attraversi stadi
emozionali molteplici: vita e morte diventano un binomio, così padre e madre,
cosi lei "ormai invecchiata" (18) ed il mittente di una lettera che non le
è mai
pervenuta; il tutto in una sola entità, una endiadi. Mi fermo alla prima
impressione nel rispetto di un ordito tutto proprio di cui essere gelosi
custodi, di una intimità che si vuole preservare, sì che appare misteriosa.
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Recensione |
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