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Il Portale

Poesie senza titolo, brevi, a volte lapidarie; linguaggio chiaro, anche se non privo di sfumature ermetiche, d’altronde sempre presenti nella poesia di Laura Pierdicchi.

Il titolo è evocativo, pertinente al contenuto, che coinvolge il lettore richiamandogli il mistero e invogliandolo a varcare la soglia; sfidandolo nel contempo, giacché l’oltrepassare contiene sempre in sé brividi d’ansia e sottile paura; realtà sconosciute, impalpabili, particolarmente precarie, come lo sono ai nostri giorni, in cui la pandemia inorridisce con le migliaia e migliaia di morti, che tiene in scacco ormai da troppo tempo, che gioca come il gatto col topo, che sembra regredire e spinge alla speranza, per poi, improvvisa, repentina, tornare aggressiva attraverso mutamenti sempre nuovi e impensati.

Va subito precisato che la pandemia con la poesia di Laura Pierdicchi non c’entra, che non è il tema della raccolta, non è mai neppure menzionata. O meglio: c’è a nostro avviso, e si tratta di un’altra e più sottile e perniciosa: quella dello spirito, dell’esistenza, del dolore, della precarietà, della vacuità del nostro affannarci, sicché, spesso, il presente sembra elastico, continuamente teso e rilassato, rilassato e teso, e con l’Aldilà, che, forse, è la sola “oasi / che rimpiazza l’arsura ”, cioè, la sola capace di estinguere la nostra sete di assoluto, sempre vigile e fibrillante alle continue e impietose sollecitazioni del tempo. Non pandemia da Covid, allora, ma anche, giacché i versi risentono del dramma che l’umanità sta vivendo, se non altro perché scaturiti proprio in questi giorni incerti e dolorosi, sicché, “dopo 5 anni – ci scrive l’Autrice in una lettera – ho sentito nuovamente il desiderio della poesia”.

Varcare “Il Portale” significa iniziare un cammino che, breve o lungo, è sempre un’incognita, materializzato com’è da pochi rettilinei e tante svolte (“il sentiero è tortuoso – / ad ogni curva / tutto può cambiare”), sempre e comunque, imprevisti; luoghi, immagini, persone e cose con cui prender confidenza, che ci tocca esplorare e sondare, conoscere a fondo nell’indole e nell’intimo, nelle molecole della materia come nel soffio dello spirito. Le presenze son sempre reali ed evanescenti nel contempo; nella stanza c’è lei, in carne e ossa, ma ci sono anche “figure” eteree che interagiscono con i suoi “pensieri / e smuovono esperienze vissute”, separate da labilità: “Il velo che ci divide / ti ha lasciato passare / e mi chiami / con segnali concreti”. Sembra un paradosso, ma a noi paiono più reali e palpabili le figure e non lei, giacché non è tanto concreto danzare “tra realtà e illusione”; la stessa poetessa, d’altronde, aggiunge che “Un essere è un insieme / di percezioni accostate / per successione logica” e la stessa cosa non sono – almeno non sempre “realtà e illusione”.

Accennavamo al Covid-19, non presente realmente nella silloge ma latente, sotterraneo, nel dolore che ha fatto fiorire questi versi e che ha liberato la poetessa dal blocco, dal trauma causatole da un recente passato. È stato come se una sorgente, a causa di una frattura del terreno, si fosse improvvisamente prosciugata e poi, per altro trauma (la pandemia), improvvisamente sbloccata, ed il canto è così tornato a scorrere, limpido, ma misto a invisibili pagliuzze di minerali disciolti: i dolori, le pene, che non permettono il torpore e spingono a riassaporare la vita. E la “luce intravista lontano”non è altro che la speranza ansiosa che il tunnel finalmente finisca e torni a investirci la luce nella sua totalità. Covid è nell’atmosfera di questa poesia, nel “futuro incerto”, ma “prezioso”, perché ci rende consapevoli della possibilità che sia prossimo il “riunirci al Tutto”.

I temi de Il Portale non sono solo quelli da noi appena accennati e neppure solo quelli splendidamente evidenziati da Pino Bonanno nel suo ampio saggio introduttivo (unica nostra non condivisione: quel “la poeta”, vezzo che abbiamo sempre esecrato. Poetessa non è discriminante, per noi non ghettizza. La donna dovrebbe essere orgogliosa della sua natura). Esteriore e interiore, realtà e immaginato si contrastano e ciò – i “Fulmini (che) squarciano il cielo” nella notte tempestosa – potrebbe essere figura di quel che potrebbe toccarci “nell’ombra del dopo respiro / quando attoniti vagheremo / tra l’abbaglio e l’oscuro”.

Siamo esseri che rappresentiamo il Tutto e il Sempre. Il “nostro trascorrere” non ha soste e viene da lontano, perché “Nessuno / è stato creato / in un certo momento” e siamo “destinati / a riunirci al Tutto”già da noi menzionato. Il tema passaggio – transito da questa nostra attuale realtà ad altra – è costante, come dominante sono materia e spirito, reale e ipotetico (o immaginario), tutti stati nei quali il dubbio, trovando un liquido amniotico, logora ed estenua.

Figura costante è l’uomo dalla Pierdicchi amato e che ha varcato anzitempo il Portale. Con lui, la poetessa continua “a parlare / a pronunciare il (suo) nome / nella presenza / assenza / necessità / per dare voce al silenzio” e a lui son rivolti pure i versi di chiusura.

In questo Tutto – che “si disperde nel nulla / da dove è iniziato / a dove andrà a finire” –, formalmente non si trovano virgole, né punto e virgola, né due punti, né l’esclamativo, né l’interrogativo: abbiamo solo il punto fermo. E anche questo, a nostro avviso, ha significato: il dubbio, cioè, non vincerà mai sulle certezze.

Recensione
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