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Voci tra le pieghe dei passiSto leggendo Voci tra le pieghe dei passi di cui ti ringrazio. Indubbiamente è una delle tue raccolte più commosse - e formalmente articolate in quella rappresentazione a più voci (quasi teatrale, drammatica) che rivela un colloquiale andante sinfonico. Anche la divisione in tre tempi riporta ad analogie musicali. Il dialogo, il ‘dibattito’ a più voci, i contrasti (ancora in senso musicale), si articolano tra esperienze contingenti, e sublimazioni linguistiche sovente assai raffinate. E c’è anche una appropriata scenografia costante; quella Venezia che tramonta austera | … | una vecchia signora | che si lascia addobbare | per fingere di non sapere. Altrove dici: per sopravvivere si impara a fingere… Metafora forse della nostra fuga lungo un tragitto… pregno di semi sparsi… Storie personali, famigliari, collettive che rivelano una vita in trasformazioni in cui il conflitto interno è totale. E biologico, oltre la quotidianità, se il sangue incide il cambiamento.
Tutto ciò non può prescindere dai valori formali, intendendosi la forma come apparizione tangibile di quella verità silente. La tua poesia è poesia perché è attenta alla forma. Leggendo la tua raccolta rilevo tre occasioni di scrittura che possono indicarci la strada per la forma come valore di quella realtà sensitivamente sublimata. - Antonia Pozzi: “Venezia. Silenzio. Il passo | di un bimbo scalzo | sulle fondamenta | empie d’echi | il canale”. C’è un ritmo tanto vitale e vero, quanto non udibile. E’ il soffio dell’ignoto che si rivela a chi sa sentire. - Giorgio Caproni: un grande poeta, forse, che tuttavia in questo caso non sa incontrare la verità se non nella banalità del sentimento, in cui l’iterazione nulla rivela se non una ovvietà, e perciò non può coinvolgere. “Senza di te un albero | non sarebbe più un albero. | Nulla senza di te | sarebbe quello che è”. Né la canzoncina rimata (sanremese?!), così superficiale, può fare poesia. Ma ben diversa è la tua… soluzione poetica di un sentimento che, per qualche aspetto, potrebbe ritenersi simile a quello di Caproni: La tua casa di polvere | nel viale del silenzio | è quello che mi resta. || Tu vivi in me | tutti i tuoi giorni in me - | sono gravida di passate emozioni | ma nel presente vuota. L’ambiguità poetica degli echi nel viale del silenzio, così come lungo il canale di Antonia Pozzi; l’immaginifica presenza/assenza della memoria incistata nella circolazione sanguigna, fanno del tuo istante poetico un momento epifanico di squisita bellezza. Ovviamente molte altre cose ci sarebbero da dire affacciandoci a questa tua rappresentazione tra le diverse voci che si insinuano nelle pieghe dei passi. |
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