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Il poemetto Bianca era la stanza che Laura Pierdicchi ha dedicato alla memoria del padre, è un'opera riuscita sotto ogni aspetto, perché ha saputo fondere la filiale dovozione con la sapienza della parola in una simbiosi davvero unica. Sull'argomento esistono precedenti illustri, ma la poetessa ha scavalcato ogni intromissione e ogni richiamo, imprimendo ai suoi pensieri, sempre delicati ma nel contempo robusti, una fluidità d'immagini e di voci pregevoli, sia sul piano dello stile sia su quello dei contenuti.

L'evocativo è sempre presente, ma senza abbassarsi di tono, incide sulla scorza del tempo e avvia un dialogo che sembrava rallentato o disperso e che all'ultimo momento riappare in tutto il suo sfolgorio. C'è, è vero, la presenza sotterranea del dolore, del mistero della fine, che si accompagna alla perdita dei doni terreni, ma il soffio dell'eterno affolla la stanza asciutta e desolante nella sua inquietante purezza.

La poetessa cerca di afferare ogni minimo particolare, prima che si compia il tragitto: "arrivavo in fretta ogni mattina | dopo una notte breve – molto breve | il giornale il pane un dolcetto | il cuore stretto", ma alla fine "coperta di dolore | annullata | ti ho baciato la fronte | ultimo bacio | con fatica ti ho sfilato la fede | ultimo tocco". "Sfilato la fede": ecco un messaggio di comunione sublime fra padre e figlia, che si perpetua all'infinito e ci riconduce all'universalità del mondo e degli affetti.

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