Voci tra le pieghe dei passi
Premio Histonium 2013
E’ frutto di intensa riflessione
questa raccolta poetica, espressa con garbo e misura, ma attraversata da
contraddizioni e angosce. In essa l’autrice raggiunge una grande maturità
artistica e un giusto equilibrio tra ispirazione ed espressione.
Nella scrittura si trova una
dimensione creativa originale che postula un continuo confronto con la vita. I
versi diventano, così, un intreccio di voci, che lasciano una traccia profonda
per il continuo riemergere della “parola pura”, la più adatta a
ripercorrere il cammino storico del Novecento, segnato soprattutto da due
conflitti mondiali, dall’accelerazione del progresso e dagli antagonismi del
rapporto democratico.
In realtà, viene evidenziata nei
versi soprattutto la difficoltà del cammino esistenziale con il tempo ormai “scivolato
tra le pieghe del giorno e della notte” e con il corpo “unito e scisso
nella trinità familiare”. Si tratta di una lotta interiore condotta dal
cuore, lotta che produce dicotomie tra opposti atteggiamenti, produce paura nel
pensiero e spine acute, fa sembrare smisurato il carico dell’equivoco, insinua
il disagio del ricordo e della memoria, in particolare della guerra con il suo
tragico peso di morti e distruzioni (“Negli orecchi l’eco di grida – e suoni
e spari. /Gioventù straziata. Alla morte / offerta di carne tenera. Pupille al
cielo / nel vitreo abisso del nulla – in trincea / impasto di carne terra e
fango”).
Ha scritto con acutezza Paolo
Ruffilli nella pregnante prefazione: “La contiguità con il dolore e con la
morte segna Voci tra le pieghe dei passi, ma si dichiara più che nel grido e nel
soffocato commento, nell’inventario dilagante degli oggetti di una quotidianità
stranita”.
Anche sul piano degli affetti, a
volte, diventa irta la salita. Scrive la poetessa: “Dal buio – mia
condizione/ ho faticato alla prima luce. / Temevo di stendere il piede. // Ma
troppo tenera era la tua erba / io troppo debole”. E più avanti rimarca
ancora di più la sua fragilità: “Se tu mancassi / il coraggio mi lascerebbe -
/ persa andrei a gridare la mia fine./ Sarebbe notte – la più nera notte”.
Ciò che più le pesa è la condizione di solitudine e precarietà esistenziale: “Non
sai quanto sola - /abituata a tenerti – mi senta / e divisa anche / divisa da
un’ombra. // Non c’è catena all’invisibile forma. / Svanire ho visto nel tuo
sguardo / la mia immagine – svanire / senza speranza”.
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