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La poesia della Pierdicchi è all'insegna di ricordi struggenti e di rimpianti per chi non c'è più. Malinconici corridoi d'ospedale vedono passare persona sempre più incavate e magre; ma non è l'unico ambiente descritto, poiché basta un panorama di mare, il volo di una gazza per riaccendere la tristezza e un'immagine ormai scomparsa

Meno pessimista la seconda parte, intitolata "Briciole": un arcobaleno di sensazioni, di gioiose emozioni, di abbandoni alla poesia e all'amore. Tutta la raccolta, dallo stile fluido, dai versi brevi e armoniosi, appare al lettore come il diario di un'anima dolente, scritto a sprazzi che lascia un'impronta penosa, su cui riflettere e riflettersi. S'indovinano schegge di vita in versi brevi, sentenziosi: "La felicità ha molecole rilucenti"; "Io e te | unica immagine | io e te | unico scopo"; "Sottomessi alla dea neve | i rami del pino sono curvi | come la schiena di un vecchio".

Tanta parte della silloge è frutto di solitudine. Basti leggere questi due versi: "Per non perdere la mia compagnia | ogni mattina mi specchio".

Personalità malinconica, la Pierdicchi non solo descrive se stessa e la sua vita, ma sa anche saggiamente osservare la realtà che la circonda: "un luogo pubblico | ove distruggere la coscienza". Forte della sua sofferenza, si sente "come aquila" che scruta dall'alto. Il suo spirito non non può più risplendere "per costanti interventi di buio". La morte è, come dice Defelice in postfazione, il nichilismo sono la piattaforma per questi versi che però spesso hanno guizzi di vitalità e di colore.

Recensione
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