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Oltre

“La morte si sconta vivendo” suona un famoso verso di Giuseppe Ungaretti. E il titolo della poesia da cui è tratto è «Sono una creatura». Ecco, dall'immenso dolore che provoca la perdita della persona amata – da molti ricercatori definito lo stress emotivo più acuto – scaturisce l'immagine intima della natura umana, emergono tutta la precarietà, la fragilità e al tempo stesso il bisogno fondamentale di comunione che ogni essere porta in sé. Quando un rapporto si spezza è il vuoto, il venir meno di ogni senso, il gorgo che si spalanca e annienta all'improvviso le aspirazioni, i disegni, il reciproco valore e arricchimento che hanno segnato fino ad allora l'esistenza a due. È il dramma, che sconvolge e smarrisce il sopravvissuto, come se gli toccasse adesso, per l'appunto, di scontare la scomparsa del più caro affetto in virtù della sorte cieca e insondabile che invece mantiene in vita lui.

Laura Pierdicchi, colpita personalmente da tanto strazio, trova nella poesia, sua musa antica e consolidata, l'appiglio più coerente e affine per elaborare il lutto. Ci riesce con grande sensibilità e tuttavia senza cedimento alcuno al patetico, dandone testimonianza con questo suo ultimo libro. Il volume si intitola «Oltre», che, secondo quanto riporta il dizionario, significa “dall'altra parte, più avanti” ed è un flagrante riferimento all'al di là, a quel mondo-altro che, forse, sta dopo l'estrema soglia. Ma “oltre” ha anche l'accezione di “di più”, come se il passaggio fatale aprisse ad un orizzonte misterioso ma infinitamente più accogliente e appagante e mirabile e fecondo.

Pare, in aggiunta, che l'etimologia di “oltre” risalga ad una radice “uls”, da cui anche il termine “ultimo”, come a determinare il punto limite in cui spazio e tempo non esistono più perché non hanno più senso, le distanze e le durate si annullano e tutto è eternamente presente e si ricongiunge in uno. Proprio come intuisce la poetessa, che analizza con encomiabile lucidità i dati pur tumultuosi del suo patire e si abbandona a simile aspettativa.

Laura Pierdicchi fa ovviamente ricorso, con i tocchi sobri e delicati che la caratterizzano, alla memoria, ma ben distinguendo tra il ricordare, cioè il “custodire-in-cuore”, e il ripensare all'intera sua esperienza coniugale, proseguita per mezzo secolo, e al mesto epilogo per poi farne oggetto di meditazione di stampo si direbbe filosofico, per ciò stesso di effetto universale.

Non parole struggenti e logore, bensì termini realistici e concreti costituiscono il suo vocabolario: sangue, carne, corpi, mano e braccio, pelle, fiato, così che i protagonisti della storia qui perfettamente narrata in poesia ne spiccano in un autentico ritratto in rilievo. Il dettato è essenziale, non reticente; scarno, non dimesso; disadorno, non scolorito.

Laura Pierdicchi con questo libro dà prova di uno scavo interiore di straordinaria efficacia e quindi di aver raggiunto la piena maturità, tanto che si può affermare che si tratta del miglior esito della sua produzione pur cospicua e di lungo corso.

Recensione
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