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Tra il regno metamorfico ed il gioco del non-essere

Musicale, generosa d’immagini, “audacemente” spirituale e castamente sensuale: questa è la poesia di Giovanni Chiellino in Luce crepuscolare.

Lo slancio al versificare giunge da un’invincibile sete di lontananza, da una percezione del segreto che nutre le forme della realtà, così che esse vanno trascorrendo, man mano che il tempo e la morte le consumano, dalla certezza dei sensi ad una vaga intuizione di qualcos’altro. E, infatti, tutte le figure che si affacciano in questi versi hanno quell’immaginaria tensione ad arco fra i due mondi che caratterizza il tuffatore della tomba di Paestum tra il “regno metamorfico” e “il gioco del non essere”: la madre che torna dal passato, giovane, a porgere la mammella piena di latte, e che ricorda il gesto d’amore di tante Madonne rinascimentali; la propria donna, i cui capelli quasi toccano i pianeti, mentre il poeta ne sfiora delicatamente i seni (e dall’immagine nasce una vertigine allo stesso tempo carnale e cosmica, una fantasia notturna, onirica); e la nipotina che, sulla spiaggia, raccoglie “ gli odori, le voci, i colori”, ma che intanto ha l’orecchio intento alla voce indecifrabile del mare che canta dentro una conchiglia, e svolge l’inusuale compito di psicopompo, accompagnando “con passo d’amore” i nonni “verso dimore di fede e d’abbandono”. La poesia, Bimba sulla spiaggia, ha una paziente ed intensa trama simbolica ruotante intorno alla conchiglia, figura della vulva ( “perché leggiadro è il suono | e ti riporta nel materno mare” ), della vita e dell’amore ( nasce la dea Venere dal mare su una conchiglia: così la raffigura Botticelli, così la canta Foscolo), ma anche, cristianamente, della morte e della resurrezione. Così attorno la bimba da “i riccioli ribelli” il mare disegna il destino di vita e morte d’ogni creatura vivente con il suo respiro che avanza e si ritrae.

Questo tono del poeta sempre sospeso tra la nettezza delle forme reali ( il mare, la luna, la voce della stagione presente e viva, come direbbe Leopardi, con i suoi canti di “…passeri e fringuelli,| nascosti fra le foglie della quercia”, i comignoli, le case, e le creature amate) e quelle altre forme, vaghe, immaginate, che chiamano al loro vasto e silenzioso mistero come alla sorgente dell’essere, dà vita ad una poesia che sta sempre sulla soglia, in atto interrogativo; è da questo atteggiamento che nascono le infinite variazioni sugli stessi temi: il mare, la donna, la fugacità delle cose, la memoria, quasi che essi inesauribilmente fossero prossimi a dire ciò che non è dicibile, sfidando il linguaggio, le possibilità evocative delle parole e delle loro combinazioni in vibrazioni sonore, facendo sgorgare, quando né l’evocazione, né la musica riescono a colmare il varco fra visibile ed invisibile, copiosissime, le domande, come: “Chi corre lungo i margini dell’ombra?”, “Chi strappa il velo nero della notte?”, “Chi traccia sentieri verso nuove albe?”,”Chi custodisce la divina luce?”, che immettono la presenza di Dio nel mondo fino a fargli chinare la fronte “sul palmo della mano”.

Grazie a questa presenza ogni cosa si riempie del soffio dello spirito e diventa testimonianza di una dimensione diversa che indirizza la pronuncia poetica di Chiellino ad un compito etico-conoscitivo di alto spessore formale e sostanziale.

03/06/2011

Recensione
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