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L’ultimo libro di Laura Pierdicchi “Il segno dei giorni” ci propone le storie interiori di dodici donne che non sono eroine dell’anima pur essendo capaci di forti sentimenti e di sofferenze affrontate senza vittimismi: esse appartengono al sano realismo quotidiano che rivestono col loro senso dei valori, con la loro serenità o malinconia, ma sempre in una dimensione esistenziale autentica sia che si trovino all’alba della vita, sia che stiano giungendo alla sua conclusione.

Donne vere, capaci di profonde e precise introspezioni che non finiscono regolarmente nella morbosità sentimentale e nel compiacimento narcisistico, presentando, invece, un’intensa rappresentazione dell’animo umano visto nella sua appartenenza al femminile e interpretato con l’esperienza di esso che solo una donna, per giunta poetessa di professione, può avere.

Questi racconti, che non inalberano l’etichetta del femminismo di maniera, e in cui non si trattano problemi di droga, di sesso, di violenza pubblica e privata, di politici corrotti et similia costituiscono un’assoluta stranezza, un miracolo di originalità e di anticonformismo che non ha riscontro nel panorama letterario italiano contemporaneo.

Si descrivono emozioni, comportamenti, gli effetti contradditori e non sempre gradevoli che il primo bacio può indurre in un’adolescente, la forza sconvolgente della passione amorosa, la situazione intrigante di una donna che ama due uomini eppure non c’è nulla di umiliante, nulla che impoverisca e che mortifichi la nobiltà della vita e manchi di rispetto al cuore.

Il fatto è che Pierdicchi colloca gli aspetti consueti della persona umana nella dimensione in cui si è unici e irripetibili, radicalmente soli con noi stessi come all’atto della nascita e della morte, capaci di arrivare all’autoconoscenza priva di illusioni e di orpelli e a quelle domande esistenziali senza le quali non c’è dignità.

Condotta sul filo di un raro equilibrio stilistico, la narrazione non cede mai alla tentazione (vincente in termini di facile successo) del modello talk-show purtroppo esportato dalla TV alla prosa. Nei pensieri delle protagoniste, nelle loro riflessioni, nei loro gesti non si riscontra il substrato culturale delle frasi fatte, dei luoghi comuni, delle proprie idee fisse urlate arrogantemente nel tentativo di caricare il tutto di credibilità, mentre si è invece in balia delle più sconvolgenti banalità, ma lo sforzo di coniugare il proprio vissuto alla guida dell’intelligenza o perlomeno del buon senso.

Donne di tal fatta esistono ancora oggi e sono un retaggio del passato, un ricordo struggente dell’Autrice che intende proporci modelli ideali per dirci che la femminilità può non morire e rimanere se stessa nonostante l’affliggente crescita dell’inerzia mentale? Qualunque sia il messaggio, che ognuno di noi decodificherà secondo la propria sensibilità, “Il segno dei giorni” è un gran bel libro, uno di quei libri di cui si sente un gran bisogno e che si cercano pazientemente tra le migliaia di pubblicazioni e di recensioni.

Un libro sano, pulito, palpitante di umanità e di sensibilità senza essere moralistico o bacchettone o idealistico o condotto con la sciatteria linguistica che nel detto degli spagnoli suona così “hablar en necio al vulgo” (parlare sciatto per disprezzo del popolo). Ne raccomandiamo la lettura alle persone nauseate dalle stravaganti insulsaggini editorial-commerciali e che desiderano, quale volta, assaporare una boccata d’ossigenata, buona lettura.

Recensione
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