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In questa recente raccolta,
Il tempo
diviso, l’invenzione scritturale di Laura Pierdicchi sale sull’ala della parola
poetica per osservare l’universo umano, il cosmo del nostro perpetuo andare. Lo
fa guardando dall’alto, in superficie e ne coglie la transitorietà, il
disfacimento lungo i sentieri del tempo limitato, in un’ansia di tempo oltre,
immobile e infinito: vive in bilico sul vuoto di un abisso divisorio. Nella
invisibile schisi di queste due entità temporali, corre il filo su cui l’uomo
funambolo, avventuriero, sempre in pericolo, sempre teso a una meta, cerca
di attraversare il guado, mentre l’uomo burattino vi resta appeso e
recita un copione che una voce da dietro le quinte gli suggerisce “mentre il
disegno in continua evoluzione | realizza innumerevoli forme | dal valore
sconosciuto.” Si stanca lo sguardo del poeta a spaziare in superficie,
vuole superare il limite del visibile, di ciò che nel manifestarsi si fa realtà,
misura, scena,partecipazione nel gioco della natura per cui “è necessario(…)
adeguare l’idea | alla molteplicità del naturale gioco | alla sua potenza nella
successione | di raffiche scrosci bagliori boati”; “Ho imparato | a leggere il
ritmo del fluire nell’infinito | intrigo del sistema – ma dall’inizio | a tuttora
balbetto di fronte allo sgorgare | del mistero – alla fuga delle ombre | al clamore
delle loro danze scatenate”, s’immerge allora, lo sguardo,nella profondità
dell’io e “smuove dal fondo pericolosi | palpiti di nostalgia”
In questo aprirsi negli spazi del
proprio essere, in questa ricerca dell’oltre, si configura l’avventura dello
spirito nell’attraversamento della radura provvisoria sempre attratto da
una forza che divora la volontà: “Tu sei energia | e mi aggrappo – mi avvinco
|
io ferro tu calamita | solo così percepisco – solo così | ricompongo la mia unità”;
“ il folgorante accostarsi e l’attrazione | producevano un centro magnetico |
d’inevitabile trascinamento” .
È
facile, seguendo il pensiero della Pierdicchi, trovare richiami, assonanze,
vicinanze che ci conducono al mondo poetico di F. Hölderlin dove il poeta è
visto come punto di contatto tra l’esserci e l’Essere, tra l’umano, quindi, e il
divino, come colui che ha un occhio rivolto dentro di sé e uno fuori di sé,
sempre in bilico tra Natura e Spirito, tra la finitùdine e l’eterno, tra la
notte dell’incoscienza che si prepara a ricevere il giorno e la luminosità di
uno sguardo che si apre nella luce del Dio. È qui e altrove, dentro e fuori la
propria dimora; è ovunque. Ci viene in soccorso, per meglio definire questo
nostro breve discorso, Gio Ferri il quale ci dice, nel concludere la preziosa
prefazione, che la creazione scritturale ”È pur sempre un gioco e una
rappresentazione (…) in cui l’incertezza accentua il desiderio d’essere, noi, io,
ancora una volta qui e altrove. Solo la poesia può renderci ubiqui. La ricerca
dell’ubiquità (l’attributo del Dio del tutto e del nulla) è la marca della
scrittura di Laura Pierdicchi”.
30 giugno 2008
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Recensione |
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