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La raccolta di
liriche di Laura Pierdicchi è divisa in sue sezioni dai titoli: “Condizioni” e
“Duetti”, che, pur avendo ciascuna una ben precisa connotazione, finiscono con
l’assumere il tono di una complementare visione poetica, di un unicum che fa da
piattaforma espressiva.
Nei versi è
agevole identificare due componenti, due elementi primigeni del suo mondo
poetico: l’assunto razionale che di continuo affiora come condotta riflessiva e
a tratti come apodittica riassunzione delle premesse, e la presenza e l’urgenza
del sentimento umano. Da un lato il fantasma dell’inconscio che sfiora le soglie
della coscienza, e dall’altro l’imprevedibile rovello razionale che sembra
sospingere e forzare verso i confini della surrealtà, verso traguardi di una
metafisica lirica, talvolta lucida e tagliente.
Così
l’occasione ispirativa si snoda lungo una duplice direzione per cui i due
atteggiamenti si compenetrano talvolta, identificandosi nella sostanziale unità
di una medesima radice emozionale. La memoria rimanda incauta immagini del
passato. Il tempo sembra scorrere con il carico delle sue ansie, delle sue
delusioni e dei suoi intrighi. E’ allora che, canta la poetessa, bisogna “spogliare
il concreto” e “rivestirlo con abiti d’aria”, quasi alla ricerca di
una dimensione altra, sognata, astratta, fantasmatica, come il recupero di uno “spazio
giusto per recepire”.
Ma “tra il
pensiero e l’azione viene ad insinuarsi un malessere, un disagio”. E’ lo
sbigottito senso delle lente, inesorabili consunzioni che il tempo opera su
tutte le cose, venendo ad ordire la trama di un fondamentale destino di angoscia
che trascende i limiti stessi della contingenza. E’ quasi un malessere cosmico e
nella dimensione del tempo la stessa “forma costruita con pazienza – si
sgretola nel mosaico – delle tessere capovolte"
Il ricordo ha
un suo spettro semantico, una sua dimensione che “si sviluppa, si dilata”,
riportandoci indietro, quasi a farci sprofondare nel tempo, quasi a farci
centellinare “goccia a goccia una medicina pura per evitarci tramonti”, come il
desiderio di non venire travolti dal nulla.
Emergono allora profili emblematici, più o meno sfuggenti nei propri contorni,
sospinti qualche volta verso soluzioni metafisiche della propria presenza nel
mondo e che vengono a collocarsi sulla pagina come linee, chiazze, chiaroscuri
di quella che è la geografia di un’anima sensibile, come un “teatro dell’anima”
inquieta che dialoga con se stessa in uno spazio sognato sull’onda della
fantasia.
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Recensione |
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