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Nella sua Premessa, Gio Ferri evidenzia, in particolare, l'aspetto religioso della poesia di Laura Pierdicchi, il cui Dio non è visto in positivo, se "ci costringe | al guscio di lumaca", come dire, a strisciare. Ci sembra quasi una forzatura, perché esso non è né il solo, né il principale dei temi dalla poetessa sviluppati ne Il tempo diviso, anche se c'è un segno che li accomuna tutti (e i brani, in continuum, non hanno titoli) ed è la sofferenza, la drammaticità, essendone la vita dell'uomo impastata dall'inizio alla fine.

Un esempio ci è dato dalla figura della madre, vista dalla figlia come una radiografia del progressivo sfascio che le procura il tempo, in un precipitare vorticoso e inarrestabile fino al giorno della scomparsa, per entrambi e per motivi diversi, "gorgo nero".

Persino attimi, che dovrebbero essere emblema della felicità, come il darsi un bacio, nella Pierdicchi vengono associati al dramma: "Baciami la bocca che non ho" e al posto di labbra colorate, umide di passione, si presenta alla nostra immaginazione una caverna nera: il vuoto!

La vita non ha nulla da assaporare in positivo ed è tristemente "fugace", il sole è "avido", a egnare sovrano, quasi da "realtà virtuale", vissuta in un perenne brutto sogno. Ognuno di noi non è che "egno | di una smisurata ragnatela | (...), cellula | fluttuante in rete". L'alienazione totale: "tutto | si concentra in uno stato | di continuo disagio e il respiro | lieve della terra s'interrompe | quasi in singhiozzo". C'è solo qualche "breve trega | per l'affanno costante della terra" e ogni essere è predatore e preda: "Bevo il tuo fiato | come assetato ai piedi di una fonte | d'acqua sorgiva, il tuo essere in me | serpeggia e si diffonde". Gli odori sono tossici, la nebbia soffoca, il tempo morde, divora al par d'una tènia e i rumori continui ci ottundono come il suono sordo di grancassa.

Tutto è visto nel trasformasi e nel deteriorarsi continuo e veloce, simile al rotolio, allo scrõll delle immagini sullo schermo di un computer impazzito.

Laura Pierdicchi è apprezzata collaboratrice di riviste e quotidiani. Tra le sue opere, in versi e in prosa, ricordiamo: A noi che siamo (1979), Neumi (1983), Mai più lieve (1986), Dal gesto d'inizio (1989), Versi ripresi (1991), Aria d'altro colore (1992), Altalena (1994), Momenti diversi (1999), Bianca era la stanza (2002) e Il segno dei giorni (2004). Un'artista singolare, che merita la stima dei nostri lettori, i quali pur la conoscono per le sue recensioni da noi di tanto in tanto pubblicate, sempre precise e personali.

Recensione
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